“L’uomo è l’unico animale per il quale la sua stessa esistenza è un problema che deve risolvere”
-Erich Fromm –
Chiara sente che la sua gola sembra stringersi talmente tanto da non lasciarla respirare. Ed è estremamente secca, nemmeno la saliva riesce a scendere. Sta sudando, le mani sono fradice e tremano. Chiara sente la testa farsi leggera, la sente vuota e non riesce a distinguere nessun rumore all’infuori del battito del suo cuore. Lo sente talmente forte che le sembra quasi di avere il cuore, prima nella testa, e poi nel petto… Dopo 5 anni è arrivata la tanto desiderata promozione, ma nella sua testa non fa altro che ripetersi: “Sarò davvero all’altezza? Deluderò il mio capo? Sarò derisa dai miei colleghi? Commetterò degli errori?…”
La parola ansia, dal latino angere significa stringere e rappresenta molto bene il disagio vissuto da chi ne soffre. Infatti, chi ha problemi legati all’ansia può sperimentare sensazioni di tensione, paura, minaccia, preoccupazione, idea di costrizione, la paura di perdere il controllo accompagnate da sintomi fisici quali palpitazioni, sudorazione, tremolio, tachicardia, sensazione di soffocamento e di asfissia, fastidio o dolore al petto, brividi o vampate di calore, nausea o disturbi addominali, sensazione di torpore o formicolio, derealizzazzione e depersonalizzazione, vertigini e capogiri. L’American Psychiatric Association (1994) la definisce come: ” L’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro, accompagnata da sentimenti di disforia o da sintomi fisici di tensione”.
PAURA E ANSIA: ELEMENTI COMUNI E DIFFERENZE.
Paura ed ansia sono le emozioni più studiate e conosciute proprio perché sono le più comuni e diffuse (Lorenzini e Sassaroli, 1987, 1991, 1995, 2000; Sassaroli e Lorenzini, 1993, 1998). Di fronte a questa affermazione emergono spontanee le domande :”Perché si prova paura?”, “Ansia e paura sono la stessa cosa?”.
La paura è un’emozione orientata la futuro, preventiva ed anticipatoria. Orientata al futuro perché viene vissuta quando l’evento temuto non è ancora accaduto e il nostro scopo è solo minacciato. Non possiamo avere paura di qualcosa che è già successo, se la minaccia si realizza e concretizza la paura sarà seguita da molte altre emozioni, in funzione dell’esito dell’evento stesso. E’ preventiva ed anticipatoria, in quanto, basandosi sull’idea che un pericolo potrebbe compromettere uno scopo per noi importante, prepara il nostro corpo e la nostra mente all’avvento di tale minaccia per darci la possibilità di reagire adeguatamente per evitare che il pericolo si concretizzi realmente. Questa reazione è rappresentata dall’attacco e/o dalla fuga. Di fronte ad un’ipotetica minaccia il corpo si prepara: tutte le funzioni che non sono necessarie ed indirizzate a queste reazioni vengono improvvisamente interrotte, il sangue viene dirottato nei muscoli per minimizzare il sanguinamento in caso di ferite, il cuore pompa più rapidamente ed il ritmo respiratorio aumenta per rendere i nostri muscoli più tonici e prestanti al movimento che devono prontamente compiere. La paura viene sperimentata ogni volta che abbiamo la percezione o pensiamo in via ipotetica che un nostro scopo possa essere minacciato (Lorenzini e Sassaroli, 2000). In funzione dell’importanza di questo scopo si modulerà l’intensità dell’emozione stessa. Se ci soffermiamo a pensare sarà facile riconoscere anche sulle nostre esperienze di vita tipi diversi di paure in funzione del “rischio” che abbiamo pensato di correre: la paura di tagliarci un dito è stata sicuramente diversa dalla paura di affrontare gli esami a scuola o, ancora, dalla paura di morire. Ripensando a quanto appena detto sulla paura, distinguerla dall’ansia non risulta poi così facile. Anche quando sono in ansia sento il cuore battere all’impazzata e il respiro farsi affannoso, tanto che Antony e Stein (2009) parlano di un’unica emozione. Le modificazione corporea associate ad ansia e paura sono sovrapponibili, è vero, anche se nel caso della paura sono nettamente molto più intense. La prima differenza che possiamo però riscontrare riguarda la natura della minaccia associata a queste due emozioni. Se quando provo paura il pericolo che sto correndo è chiaro, lo riconosco, è immediato, sta succedendo, è presente, nei casi in cui sperimento ansia è molto più indefinito e sfumato soprattutto per chi la sta vivendo, e riguarda maggiormente eventi non in atto che potrebbero verificarsi in futuro. Per chi ha paura degli insetti, non è difficile definire di temere quegli esserini volanti e frenetici che ti sbattono addosso. Al contrario, per chi vive l’ansia di balbettare ed impapinarsi durante una importante riunione di lavoro con il maggiore azionario della sua azienda, non è così facile ed automatico esserne consapevole. Spesso questa ansia viene vissuta come ingiustificata proprio perché non viene collegata allo scopo che potrebbe essere compromesso, ad esempio quello di fare una bella figura con i propri clienti. Questo esempio ci porta a comprendere che l’ansia sottende a un sistema cognitivo più evoluto che permetta alla persona di analizzare le conseguenze a breve e lungo termine e che sia in grado di sostenere ragionamenti ipotetici. Per questo motivo la paura è un’emozione condivisa con la maggior parte degli animali, l’ansia è da considerarsi invece un’emozione che può essere provata solo dalla specie umana, dotata di sé autobiografico, inteso come la capacità di generare una coscienza estesa che consiste nella percezione di una estensione di sé nel passato e nel futuro, come una sorta di unicità nella continuità del cambiamento vitale (Damasio, 2000).
Le persone ansiose tendono quindi a crearsi “pericoli ipotetici” che possono essere illimitati e immodificabili, innescando un’attivazione fisiologica che, in assenza di un pericolo imminente non serve più a salvaguardarne la sopravvivenza, come nel caso della paura che dispone ad attacco o fuga, ma determina invece una reazione disfunzionale per il raggiungimento di uno scopo (Andrew et al., 2003).
COSA CI SPAVENTA REALMENTE?
Un evento è percepito come una minaccia verso uno scopo nel momento in cui è imprevedibile e incontrollabile, e di conseguenza sconosciuto, ignoto (Kelly, 1995). Molto spesso le persone sono terrorizzate dall’idea che possa accadere qualcosa, anche non necessariamente negativa, proprio perché non rientra negli schemi e nelle aspettative che gli appartengono, che si erano immaginati per il loro futuro. E non è cosa rara che, nei casi in cui il pericolo si concretizzi realmente, la persona riesca a farvi fronte, ad adattarsi e a continuare a vivere molto meglio di quanto credesse. Un evento può essere percepito minaccioso anche se prevedibile, nel momento in cui non è modificabile e non posso avere un controllo. “Ci sembra sensato ipotizzare la presenza di un movimento ansioso ogni qual volta uno stimolo perturba il campo senza essere chiaramente riconosciuto. Il suo effetto automatico è la focalizzazione dell’attenzione sullo stimolo e quindi una rapida categorizzazione dello stesso: a questo punto l’ansia cede il posto ad una emozione più congrua” (Harvey et al., 2004). Così descritta l’ansia è da intendersi come la madre di tutte le emozioni, le precede e le segue sino a quando, una più attenta e non automatica elaborazione dello stimolo che ci spaventa, lascia spazio ad una reazione adeguata alla sua natura: diventa quindi importante distinguere la paura dalle altre emozioni e dalla paura di provare queste stesse emozioni.
QUANDO L’ANSIA DIVENTA PATOLOGICA?
Abbiamo sopra affermato che l’ansia è una costituente ineludibile dell’esperienza umana. Quando uno scopo importante per la persona viene minacciato è normale percepire ansia, a questa segue la messa in atto di strategie per ridurre o eliminare la minaccia, che determina il decrescere graduale dello stato di attivazione. Questo non significa avere un disturbo d’ansia.
Allora, in base a cosa l’ansia diventa patologica o meno? Quando un’esperienza di ansia diventa un disturbo d’ansia? Una semplice esperienza d’ansia può evolvere in un disturbo d’ansia quando sono presente determinate varabili che tendono ad interagire:
1)La presenza di scopi senza alternative: uno scopo che ha valore per una persona rappresenta uno stato del mondo e del sé desiderato, in una gerarchia di scopi quelli che occupano le prime posizioni avranno un valore maggiore rispetto a quelli che si trovano agli ultimi posti, saranno quindi più desiderati ed avranno un maggiore potere motivazionale. Queste caratteristiche determinano il coefficiente di valore di uno scopo (Castelfranchim 1988; Miceli e Castelfranchi, 1992). Il coefficiente di valore di uno scopo giustifica la disposizione all’azione, ossia la motivazione a comportarsi in modo tale da raggiungerlo e preservarlo, ma non lo sviluppo di un disturbo d’ansia nel momento in cui lo scopo viene minacciato. Tutti ci preoccupiamo quando obiettivi per noi importanti sono minacciati da qualcosa. L’ansia si origina solo nei casi in cui la persona percepisce come insopportabile ed inaccettabile, in modo rigido e assoluto, l’ipotesi che tale scopo non possa essere perseguito e che debba orientarsi verso scenari alternativi della situazione desiderata. In questo caso, non avendo altre possibilità, lo scopo non rappresenta una dimensione che tendenzialmente si preferisce, ma l’unico stato possibile da raggiungere, quindi non una preferenza ma un obbligo;
2. L’illusione di controllo: nel raggiungimento di uno scopo tutti tendiamo a conoscere e controllare gli elementi che possono aiutarmi o invece ostacolarmi nella soddisfazione di un obiettivo. È una cosa funzionale e strategica alla base di un senso di autoefficacia. Tale disposizione diventa problematica e può elicitare un disturbo d’ansia quando una persona crede sia realmente possibile controllare in modo assoluto tutte le variabili che possono minacciare il raggiungimento di uno scopo e, soprattutto, sperimenta una incapacità personale ad esercitare questo controllo e vive forti sensi di colpa in conseguenza al suo fallimento. L’onnipotenza viene percepita come una regola che la persona dimostra costantemente di fallire;
3. L’errore metacognitivo: si intende una importante componente alla base di tutti i disturbi di ansia, ossia l’incapacità della persona di riconoscere la sua stessa ansia e di interpretarla invece come un segnale, una prova che la minaccia, il pericolo temuto è in atto, sta accadendo. L’ansia quindi non viene rappresentata come segnale di pericolo ma diventa il pericolo stesso. Tutto ciò ha l’effetto di aumentare l’ansia innescando un circolo vizioso dove l’emozione determina una attivazione fisiologica che, a sua volta, porta ad un aumento delle preoccupazioni e così via, determinando il mantenimento del disturbo;
4. Il timore sproporzionato del danno e la tendenza a previsioni catastrofiche: questo deriva direttamente dalla presenza di scopi senza alternative al loro soddisfacimento. La persona non riuscirà quindi a definire e figurarsi in modo chiaro l’evento temuto e tanto meno le reali conseguenze del suo avverarsi, focalizzandosi invece sull’ipotesi peggiore, sopravvalutandola e mettendo in atto delle strategie iperprudenziali per evitare che ciò che teme accada veramente (Johnson-Laird et al., 2006);
5. Il rimuginio: per rimuginio non si intende il pensare a qualcosa che ci preoccupa, è invece un ripetizione continua con pensiero prevalentemente verbale della terribilità, insostenibilità, probabilità dell’evento temuto senza alcuna elaborazione degli scenari. È un pensiero inconcludente, si ferma alla contemplazione e non elabora soluzioni (Borkovec e Inz, 1990: Borkovic et al., 1993;Borkovic, 1994; Borkovic et al., 1998). Non rappresenta un attività di problem solving, anzi, la sostituisce proprio perché sono presenti scopi senza alternative;
6. L’evitamento: la persona si tiene lontana da luoghi, circostanze e situazioni in cui ha vissuto, o teme di vivere il futuro, l’avverarsi del pericolo. Questo succede perche il sistema cognitivo non vuole più rischiare di mettere in dubbio le sue credenze. Questo atteggiamento mantiene il disturbo d’ansia, attiva un’attenzione selettiva verso gli stimoli ritenuti minacciosi sottendendo una visione del mondo come molto più minaccioso e pericoloso, si autoriforza in quanto non permette il verificarsi dell’evento temuto impedendo la messa in discussione delle credenze disfunzionali alla base della preoccupazione nell’ansia patologica.
COME CI SI PUO’ LIBERARE DALL’ANSIA?
Va premesso che non c’è terapia in cui l’ansia non sia coinvolta (Lorenzini e Sassaroli, 1987, 1991, 1995; Sassaroli e Lorenzini, 1993, 1998). In Psicoterapia Cognitiva la prima cosa da fare per comprendere un disturbo d’ansia è indagare e definire quale sia lo scopo minacciato e l’evento temuto. In questo modo la persona potrà imparare a conoscere meglio la sua sofferenza e soprattutto a dare un senso al suo problema. L’intensità dell’ansia è direttamente proporzionale all’importanza dello scopo minacciato e alla probabilità che l’evento temuto si verifichi; è invece inversamente proporzionale alla stima soggettiva di poter far fronte al realizzarsi della minaccia. Per ridurre l’intensità dell’ansia è utile rassicurare il paziente, o meglio portarlo a stimare in modo più razionale la probabilità che l’evento temuto si realizzi. Quando temiamo una cosa tendiamo a vederla più probabile errando grossolanamente sulla stima delle probabilità. Non appena l’attenuazione della sintomatologia esperita dalla persona lo permetterà, è necessario portarla a ragionare sulle sue reali capacità di fronteggiare e gestire l’evento temuto. Si tratta di incrementare l’autoefficacia del paziente sostenendolo nell’elaborazione di piani di azione concreti e di strategie possibili per superare il pericolo. È importante anche analizzare le sue reazioni, o quelle di persone a lui vicine, di fronte a situazioni passate o analoghe, per costruire insieme una nuova consapevolezza e conoscenza e diminuire l’imprevedibilità della situazione temuta. Nel fare questo non bisogna mai dare per scontato che le persone sappiano veramente quello che debbono fare per affrontare determinate situazioni, vanno a volte informate ed educate. Nel momento in cui la persona è diventata “esperta” di come funziona il suo disturbo esperirà quasi automaticamente una diminuzione della sintomatologia ansiosa. A questo punto risulta utile lavorare sugli elementi che mantengono il problema: eliminare le condotte di evitamento e iniziare il processo di accettazione di correre dei rischi. Il paziente viene guidato all’esplorazione mentale dell’evento temuto, rassicurandolo sul fatto che questo non aumenta la probabilità che la minaccia si verifichi e che, se l’ansia diventa troppo intesa, si può interrompere il tutto. Esplorando il pericolo e conoscendolo si può imparare a temerlo in misura minore e soprattutto a programmare come affrontare la situazione, rendendo inutile l’evitare ciò che ci spaventa.
Bibliografia:
AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (1994), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-VI) tr. It. Masson, Milano 1996.
ANDREWS, G., CREAMER, M., CRINO, R., HUNT, C., LAMPA, L., PAGE, A. (2003), Trattamento dei disturbi d’ansia, Centro Scientifico Editore, Torino
ANTONY, M.M., STEIN, M.B., (a cura di) (2009), Handbook of Anxiety Disorders, Oxford University Press, New York, NY.
BORKOVIC, T.D.(1994), The nature, funcyions, and origino f worry. In G. DAVEY E F. TALLIS (a cura di), Worring: perspectives on theory, assessment and treatment (p.5-33), Chichester, England, Willey.
BORKOVIC, T.D., INZ, J. (1990), The nature of worry in generalized anxiety disorder: A predominance of thought activity, Behavior Research and Therapy, 28, 153-158.
BORKIVIC, T.D., LYONFIELDS, J.D., WISER, S.L., DIEHL, L. (1993), The role of worrisome thinking in the suppression of cardiovascular response to phobic imagery, Behavior Research and Therapy,31, 321-324.
BORKOVIC, T.D., RAY, W.J., STöBER, J. (1998), Worry: A cognitive phenomenon intimately linked to affective, physiological, and interpersonal behavioral processes, Cognitive Therapy and Research, 22, 561-576.
CASTELFRANCHI, C. (1988) (a cura di), Che figura! Emozioni e immagine sociale, Il Mulino, Bologna.
DAMASIO, A. (2000), Coscienza ed emozione, Adelphi, Milano.
KELLI, G.A. (1955), The Psychology Of Personal Constructs, Norton, New York.
HARVEY, A., WATKINS, E., MANSELL, W., SHAFRAN, R. (2004), Cognitive behavioural processes across psychological disorders, Oxford University Press, Oxford.
JOHNSON-LAIRD, P.N., MANCINI, F., GANGEMI, A. (2006), A theory of psychological illnesses, Psychological reviews, 113, 822-842.
LORENZINI, R., SASSAROLI, S. (1987), La paura della paura, La Nuova Italia Scientifica, Roma.
LORENZINI, R., SASSAROLI, S. (1991), Quando la paura diventa malattia: come riconoscere e curare le proprie fobie, Ed. Paoline, Milano.
LORENZINI, R., SASSAROLI, S. (1995), Attaccamento, conoscenza e disturbo di personalità, Raffaello Cortina Editore, Milano.
LORENZINI, R., SASSAROLI, S. (2000), La mente prigioniera. Strategie di terapia cognitiva, Raffaello Cortina Editore, Milano.
MICELI, M., CASTELFRANCHI, C. (1992), La cognizione del valore. Una teoria cognitiva dei meccanismi e processi valutativi, Franco Angeli, Milano.
SASSAROLI, S., RUGGIERO, G.M. (2002), I costrutti dell’ansia: obbligo di controllo, perfezionismo patologico, pensiero catastrofico, autovalutazione negativa e intolleranza dell’incertezza, Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 8, 45-60.
SASSAROLI, S., LORENZINI, R. (1993), L’uomo nero: ansia, paure e fobie, La Nuova Italia Scientifica, Roma.
SASSAROLI, S., LORENZINI, R. (1998), Paure e fobie, Il saggiatore, Milano.