Cos’hanno in comune Michael Jordan e J.K. Rowling?
Il successo nei rispettivi campi professionali direte voi e questo è certamente vero, ma condividono anche la capacità di affrontare e gestire i diversi fallimenti che hanno preceduto la realizzazione dei loro obiettivi. Infatti, se Michael Jordan pianse dopo essere stato escluso dalla squadra di basket del proprio liceo, J.K. Rowling si vide rifiutare il manoscritto di “Harry Potter e la pietra filosofale” da ben 12 case editrici prima di riuscire a farlo pubblicare da una piccola realtà londinese. Entrambi, quindi, senza un adeguato senso di autoefficacia e di tenacia avrebbero abbandonato le rispettive carriere.
L’autoefficacia è definita da Bandura (1977) come la convinzione circa le proprie capacità di organizzare e realizzare le sequenze di azioni necessarie a gestire adeguatamente le situazioni, in un particolare contesto, in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati. Non si tratta, dunque, di una generica fiducia in se stessi e nelle competenze possedute, ma è un concetto legato a variabili contesto e compito dipendenti. Il sistema delle convinzioni di efficacia personale riveste un considerevole ruolo in diversi ambiti del funzionamento umano, dai processi di adattamento alla promozione della salute e del benessere psicologico. Specificatamente, regolando processi cognitivi, motivazionali, affettivi e processi di scelta, il senso di efficacia personale influenza modi di pensare, attività intraprese, obiettivi, risultati attesi, resistenza alle avversità e livello di stress sperimentato nell’affrontare le richieste ambientali (Bandura 1993).
La percezione di autoefficacia può costituire per ognuno di noi una risorsa oppure un fattore di vulnerabilità nell’affrontare situazioni problematiche o stressanti.
In particolare, un elevata autoefficacia costituisce un fattore protettivo rispetto ad eventi negativi e spiacevoli, infatti le persone con un senso di efficacia personale elevato credono nelle proprie capacità di affrontare situazioni complesse, vivendo queste ultime come sfide piuttosto che come minacce; inoltre, giudicano gli eventi positivi vissuti come frutto del loro impegno, mentre quelli negativi come principalmente dovuti ad eventi esterni.
Diversamente, le persone con bassi livelli di autoefficacia affrontano un evento stressante vivendo stati acuti di disagio psicologico e somatico: tendono a preoccuparsi, dubitano delle proprie capacità di padroneggiare la situazione, valutando gli eventi come minacciosi e diventando ansiose; inoltre, si sentono maggiormente responsabili per i propri fallimenti rispetto ai successi ottenuti e valutano i giudizi sociali ricevuti sulla prestazione svolta come giudizi sul loro valore personale.
Di conseguenza, a parità di competenze possedute, la percezione della propria autoefficacia orienterà le persone nella selezione dei propri obiettivi e nella valutazione dei rischi che sono disposte ad affrontare.
A questo punto è lecito chiedersi da dove prendano origine le convinzioni di autoefficacia. A tal proposito, si individuano quattro modalità attraverso le quali l’individuo può alimentare la propria autoefficacia percepita:
- l’esperienza di gestione efficace – “Ho già svolto con successo questo compito?”: si riferisce all’acquisizione di abilità che ci rendono in grado di pianificare ed eseguire le azioni necessarie a gestire in modo adeguato situazioni di vita più o meno complesse e mutevoli. In questo contesto, i successi sperimentati dalla persona sono sicuramente importanti e utili a consolidare l’efficacia personale; tuttavia, anche i possibili fallimenti costituiscono un fondamentale strumento di conoscenza delle proprie risorse e dell’importanza di mantenere costante il proprio impegno nel tentativo di superare le difficoltà, traendo da tale esperienza un rigenerato e più stabile senso di autoefficacia percepita.
- l‘esperienza vicaria – “Se ci è riuscito lui ce la posso fare anche io!”: ossia l’osservazione di modelli di comportamento, in particolare, osservare persone simili a sé mentre raggiungono gli obiettivi che si sono prefissati con impegno e costanza, incrementa nell’osservatore la convinzione di possedere caratteristiche analoghe che lo rendono in grado di raggiungere i medesimi risultati. Diversamente, osservare modelli percepiti come simili a se stessi mentre falliscono i propri obiettivi pur impegnandosi, diminuisce sia la motivazione che il senso di efficacia dell’osservatore. Infatti, il “modellamento” influenza l’autoefficacia personale in modo direttamente proporzionale alla somiglianza che percepiamo rispetto alle persone che abbiamo scelto come nostri modelli: tanto più la somiglianza è forte, tanto più sono motivanti in modo positivo o negativo i successi o i fallimenti ottenuti dal modello stesso.
- la persuasione – “Cosa dicono gli altri delle mie capacità?”: il senso di efficacia personale può essere modulato dai commenti positivi o negativi che riceviamo circa le nostre capacità di realizzare efficacemente determinate attività. Persuadere una persona che sia in grado di ottenere un successo in un dato contesto, può incrementare la fiducia che ha in se stessa promuovendo lo sviluppo delle sue abilità e consolidandone l’efficacia personale. Tuttavia, la persuasione da sola può risultare un mezzo poco efficace nell’infondere salde convinzioni di autoefficacia, mentre più facilmente riesce ad indebolirle. Le persone che sono state persuase della propria incapacità evitano le situazioni impegnative e rinunciano davanti alle difficoltà; in questo modo, perdono l’occasione per conoscere e sviluppare le proprie potenzialità, mantenendo un livello scadente delle loro prestazioni e confermando ulteriormente la convinzione di essere incapaci.
- stati emotivi e fisiologici – “Come mi sento mentre affronto questo compito?”: stati d’animo positivi e periodi di forza fisica aumentano il senso di autoefficacia. A tal proposito, il modo in cui percepiamo ed interpretiamo le nostre reazioni emotive e fisiche gioca un ruolo cruciale nella modulazione del senso di autoefficacia; persone con elevato senso di autoefficacia interpretano più facilmente l’attivazione emotiva come un elemento che facilita lo svolgimento dell’azione, mentre quelle sfiduciate la vivono come un fattore debilitante.
Alla luce di quanto visto possiamo concludere che un buon livello di autoefficacia percepita possa contribuire a promuovere in modo significativo, oltre che le nostre prestazioni, anche il nostro benessere psicologico e fisico. Di conseguenza, può essere vantaggioso lavorare sull’incremento della consapevolezza e sull’apprendimento di opportune strategie per affrontare le situazioni di vita quotidiana in modo più efficace ed equilibrato.
L’acquisizione di strumenti cognitivi e comportamentali può modificare il senso di autoefficacia favorendo i processi di autoregolazione, l’interpretazione dei fallimenti come crescita personale e l’adeguata valutazione delle nostre percezioni somatiche, promuovendo la corretta gestione delle emozioni negative.
Bibliografia:
Bandura A (1977). Self-efficacy: toward a unifying theory of behavioral change. Psychological Review 84, 2, 191-215.
Bandura A (1993). Perceived Self-Efficacy in Cognitive Development and Functioning. Educational Psychologist 28, 2, 117-148.
Bandura A (a cura di). Il Senso di Autoefficacia. Aspettative su di sé e azione. Edizione Italiana a cura di Ianes D . 8° ristampa Marzo 2012. Ed. Erickson, Trento.