Albert Ellis con la sua Terapia Razionale Emotiva (RET), sostiene che le emozioni e i comportamenti siano il risultato delle convinzioni dell’individuo e di come, sulla base di queste ultime, egli interpreti la realtà che lo circonda; l’autore, condivide l’affermazione del filosofo greco Epitteto secondo il quale “gli uomini non sono agitati e turbati dagli eventi, ma dalle opinioni che essi hanno degli eventi”. Inoltre, definisce come “irrazionali” tutte quelle opinioni irrealistiche che ostacolano il raggiungimento degli scopi personali, sostenendo che siano in grado di indurre emozioni spiacevoli e comportamenti inadeguati. Di conseguenza, il fine della RET è rendere in grado l’individuo di imparare a gestire la sofferenza psicologica incrementando i pensieri razionali, utili al raggiungimento del proprio benessere, e minimizzando quelli irrazionali.
Ellis individua undici idee irrazionali, qui di seguito illustreremo la terza di queste, secondo la quale possiamo provare rabbia e risentimento nei confronti degli altri (o persino verso noi stessi) perché convinti che abbiano commesso azioni sbagliate o errori in modo intenzionale e con malvagità, ritenendo per questo necessario condannarli o punirli severamente. Egli sosteneva che questa convinzione fosse irrealistica ed esagerata e non aiutasse la persona a raggiungere i propri obiettivi, al contrario la spingesse verso reazioni emotive spiacevoli e comportamenti controproducenti, sperimentando un disagio psicologico intenso.
Come possiamo modificare questo pensiero irrazionale e renderlo più funzionale al nostro benessere?
In primo luogo, Ellis argomenta che potremmo accettare l’idea che le persone non sono sempre del tutto consapevoli dei motivi per cui compiono alcuni gesti, quindi possibilmente potrebbero non essere animate da intenzioni malevole. Inoltre, sarebbe utile adottare un atteggiamento costruttivo pensando a come aiutare l’altro a correggere il proprio errore, evitando di giudicare la persona come un essere umano indegno solo sulla base dell’errore commesso; infatti, un’azione sbagliata non rende automaticamente sbagliata o cattiva una persona, ma rappresenta solo un comportamento da modificare. In secondo luogo, l’essere umano è per sua natura un essere imperfetto e fallibile, quindi dovremmo aspettarci che le persone (noi compresi) possano commettere errori, sarebbe irrealistico, infatti, credere che si possa non sbagliare mai. Inoltre, A.Ellis ci ricorda come la convinzione secondo la quale punire severamente chi ha sbagliato sia sufficiente per indurlo a non ripetere gli stessi errori in futuro, non sia sempre vera. In particolare, accusare qualcuno con rabbia e punirlo duramente spesso peggiora il comportamento dell’individuo, anziché favorirne il cambiamento. Diversamente, cercare di correggere con calma gli errori senza giudicare sbagliata l’intera persona favorisce l’apprendimento di nuove strategie. A tal fine, sarebbe utile prendere in considerazione come dietro un errore possano esserci diverse motivazioni: a volte sbagliamo perché non siamo in grado di valutare correttamente le conseguenze delle nostre azioni ed essere giudicati con asprezza non ci metterà in condizione di capire come migliorare. Un altro motivo d’errore risiede nell’ignorare alcune regole di comportamento ed essere biasimati per questo non renderà più semplice impararle. Infine, potremmo sbagliare a causa di un disagio emotivo, ed essere condannati probabilmente aumenterà il nostro disagio. In generale, punire spinti dalla rabbia o perseguire la vendetta non aiuterà colui che ha commesso un errore a comprendere come migliorare in futuro e nel contempo, esporrà colui che nutre sentimenti di ostilità e rabbia ad un’intensa sofferenza emotiva. A questo proposito, l’autore sostiene che se i bambini venissero educati a non giudicare se stessi e gli altri solo sulla base degli errori commessi, probabilmente sarebbero meno vulnerabili all’ansia, al senso di colpa e alla depressione (se la condanna è rivolta verso se stessi) o ancora alla rabbia e all’ostilità (se la condanna è rivolta verso altri).
In conclusione, come possiamo promuovere un atteggiamento costruttivo verso l’errore?
Nel caso in cui si stia parlando di errori commessi dagli altri potremmo provare a renderci conto che si può sbagliare anche in modo non intenzionale, ad esempio ignorando l’esistenza di una certa regola o perché si vive una situazione di disagio emotivo; questo favorirà l’accettazione degli altri con i loro limiti e difetti, e ci renderà più disponibili ad aiutarli al fine di migliorare il loro comportamento o le loro conoscenze. Diversamente, quando siamo noi a sbagliare dovremmo cercare di tralasciare le critiche troppo aspre formulate sia dagli altri che da noi stessi perché non aumentano le nostre possibilità di cambiamento, ma solamente il nostro disagio. Di conseguenza, risulta chiaro come per A. Ellis sia importante cercare di comprendere il motivo che spinge le persone ad agire in un certo modo, adottando il loro punto di vista e aiutandoli, qualora possibile, a migliorare ed, in caso contrario, accettare che le loro azioni siano certamente scorrette e sbagliate, ma non per questo devono essere interpretate come catastrofiche. In particolare, sarebbe utile accettare che noi, al pari degli altri, siamo esseri umani e in quanto tali siamo passibili di errore…non è catastrofico, ma del tutto normale!
In conclusione, un percorso di psicoterapia potrebbe essere utile sia nel gestire in modo funzionale l’emozione di rabbia, favorendo migliori relazioni interpersonali, sia nell’ammettere i propri errori evitando una inutile e sprezzante autocritica.
Bibliografia:
Ellis A. (1989). Ragione ed Emozione in Psicoterapia a cura di C. De Silvestri. Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma