Claudia si è da poco trasferita in una piccola casetta di campagna. E’ così contenta del giardino antistante che non ha pensato neanche per un attimo al fatto che avrebbe dovuto avere a che fare con degli insetti.
Un giorno rientra a casa e una macchia scura, mobile, sul pavimento bianco della cucina attira la sua attenzione. Appena scopre che si tratta di un indisturbato scarafaggio, automaticamente indietreggia, arriccia le narici, rovescia le labbra, tira fuori la lingua e allarga la bocca.
L’espressione facciale di Claudia è quella tipicamente inconfondibile del disgusto (Ekman et al., 1987).
Cos’è il disgusto e come si manifesta?
Davey (1994) fornisce una definizione di disgusto definito come “un modo di risposta repulsiva caratterizzata da un’espressione facciale specifica, un desiderio di allontanarsi dall’oggetto disgustoso, una manifestazione fisiologica di nausea, un timore della possibile incorporazione orale dell’oggetto disgustoso ed una sensazione di volta-stomaco (revulsion)”.
Claudia avrebbe potuto provare disgusto anche solo immaginando quello scarafaggio o vedendolo raffigurato in tv o in un’immagine. Il disgusto, infatti, può essere innescato non solo da eventi o da cose esterne (residui alimentari, insetti, sporco, escrementi) ma anche da oggetti o situazioni interne (immagini e pensieri).

Una volta che l’evento o l’oggetto viene riconosciuto come disgustoso, si attivano una serie di risposte (appraisal) volte all’allontanamento immediato dello stesso, con lo scopo di preservare l’organismo dalla contaminazione.
Sia il comportamento motorio che l’espressione facciale di repulsione sono spiegabili alla luce di questo scopo: le narici tipicamente arricciate avrebbero la funzione di non far penetrare odori sgradevoli; l’abbassamento della mandibola, l’estrusione della lingua, l’innalzamento del labbro superiore (Darwin, 1872; Ekman, Friesen, 1975; Izard, 1971) hanno lo scopo di espellere il contenuto disgustoso dalla bocca (Rozin, Lower, Ebert, 1994). Tutto questo è, inoltre, accompagnato da una tipica sensazione di volta-stomaco (revulsion). La reazione comportamentale che ne consegue è proprio quella di allontanamento dall’oggetto disgustoso, accompagnato anche da segnali vocali di ribrezzo (D’Urso, Trentin, 1999).
A cosa serve il disgusto?
Il disgusto aveva, evolutivamente parlando, lo scopo di rifiutare cibi contaminati e pericolosi per la salute. Si trattava, dunque, di una risposta condizionata utile alla sopravvivenza. Nell’homo sapiens si è evoluta a tal punto che adesso non è più solo un riflesso condizionato a fini protettivi, ma è un’emozione processata cognitivamente.
Un altro livello sovraordinato di disgusto è stato chiamato “disgusto della nostra natura animale”(Rozin, Haidt, McCauley, 1999; Haidt et al., 1987; Miller, 1997). I fenomeni che elicitano questo tipo di disgusto sono classificati in diverse categorie:
- scarsa igiene (odori corporei e sporcizia in generale): basti pensare a quello che accade sui mezzi pubblici, d’estate;
- perversioni sessuali (incesto e zoofilia);
- lesioni corporee gravi al punto da compromettere l’integrità del corpo (amputazione di arti): provate a pensare alla reazione che avete guardando vivide scene di operazioni chirurgiche in tv;
- contatto con la morte (toccare o vedere cadaveri).
Lo scopo che accomuna queste quattro categorie è quello di evitare tutto ciò che riporti alla rappresentazione mentale dell’origine animale dell’uomo.
Esiste anche il cosiddetto disgusto morale, interpersonale e sociale, che caratterizza il livello finale della civilizzazione. Si tratta di un tipo di emozione che ci porta a provare disgusto anche nei confronti di idee, comportamenti sociali e persone. Per cui, ad un livello sovraordinato, il disgusto ha lo scopo di favorire la socializzazione e l’incivilimento dei rapporti umani (Ruggiero, 2010).
Oltre ai gusti, ciascuno ha anche propri disgusti personali, soggettivi oppure appresi nell’ambiente familiare e sociale in cui vive.
Persone verso cui si prova estraneità o addirittura avversione possono essere percepite come disgustose, con gradi differenti di consapevolezza, che vanno da una percezione di distanza culturale affrontata con rifiuto di contatto ed evitamento a un più netto disgusto morale in cui le differenze vengono percepite come violazioni in profondo contrasto con i valori del soggetto disgustato (Kekes, 1992).
Il disgusto nella patologia
Il disgusto è un’emozione molto diffusa e frequentemente provata nella vita quotidiana di tutti. La sua manifestazione fisiologica e comportamentale è comune a diverse culture e varie specie animali e risulta stabile in situazioni differenti (Rozin, Haidt, McCauley, 1999).
Ad oggi non è più considerata semplicemente un’emozione primitiva, ma è un’emozione che filtra molto la valutazione di se stessi e dell’altro, in termini di valori, opinioni e comportamenti. Infatti, sempre più ricerche scientifiche mostrano come questa emozione possa avere un ruolo rilevante nei disturbi d’ansia, nelle fobie, nel disturbo ossessivo-compulsivo, nei disturbi depressivi e nei disturbi alimentari (Power, Dalgleish, 1997). Ne consegue che il disgusto fa parte del ventaglio emozionale di ciascuno di noi, è assolutamente normale e legittimo, nonché utile e funzionale in diverse situazioni, ma, esattamente come accade per le altre emozioni, potrebbe accadere che la sua intensità e le credenze ad esso legate possano diventare disfunzionali. Potrebbe, per questo diventare oggetto di lavoro terapeutico una riformulazione delle credenze e delle valutazioni che le persone hanno di sé e della pericolosità di alcuni oggetti ed eventi esterni, che sono alla base del disgusto verso se stessi, verso oggetti specifici e dell’idea di contaminazione che sorreggono l’emozione del disgusto (Ruggiero, 2010).
BIBLIOGRAFIA:
D’Urso, V., Trentin, R. (1999), Disgusto. In V. D’Urso, R. Trentin (a cura di), Introduzione alla Psicologia delle Emozioni, Laterza, Bari.
Darwin, C.R. (1872/1965), L’espressione delle emozioni, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
Davey, G.C.L. (1994), Disgust. In V.S Rachamandran (Ed.), Encyclopedia of Human Behaviour, Academic Press, San Diego, CA.
Ekman, P., Friesen, W.v., O’Sullivan, M., Chan, A., DiacoyanniTarlatzis, I., Heider, K., Krause, R., LeCompte, W.A., Pitcairn, T., Ricci Bitti, P.E., Scherer, K.R., Tomita, M., Tzavaras, A. (1987), Universal and cultural differences in the judgements of facial expressions of emotion, Journal of Personality and Social Psychology, 53, 712-717.
Haidt, J., Rozin, P., McCauley, C.R. e Imada, S. (1987), Body, psyche and culture: the relationship between disgust and morality, Psyhology and Developing Society, 9, 107-131.
Izard, C.E. (1971), The face of Emotion, Appleton-Century-Crofts, New York.
Kekes, J. (1992), Disgust and moral taboos, Philosophy, 67, 431-446.
Miller, W.I. (1997), The anatomy of Disgust, Cambridge, Harvar University Press, Cambridge, MA.
Power, M., Dalgleish, T. (1997), Cognition and Emotion: from Order to Disorder, Psychology Press, Hove, UK
Rozin, P., Haidt, J., McCauley, C.R. (1999), Disgust: the bodyand soul emotion. In: M. Lewis e J. Havilland (a cura di), Handbook of Emotions, Guilford Press, New York.
Rozin, P., Haidt, J., McCauley, C.R. (1999), Disgust: the body and soul emotion. In: T. Dalgleish e M. Power (a cura di), Handbook of Cognition and Emotion, Chichester, UK: Wiley & Sons.
Rozin, P., Lower, L., Ebert, R. (1994), Variates of disgust faces and the structure of disgust, Journal of Personality and Social Psychology, 66, 870-881.
Ruggiero, G.M. (2010), Il disgusto. In: M. Apparigliato, S. Lissandron (a cura di), La cura delle emozioni in terapia cognitiva, Alpes, Roma.