‘La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha’
Neil Leifer
Il mondo di oggi vive di immagini. Alcuni studi raccontano una vera e propria invasione in termini di milioni di fotografie o video caricati e condivisi ogni giorno sui vari social network.
Cosa ci spinge a prediligere le immagini per raccontare la nostra realtà?
Certamente, la fotografia è un mezzo espressivo e comunicativo potente ed immediato capace di metterci in contatto con realtà diverse, di raccontare storie senza usare le parole, d’altra parte fotografare significa “scrivere con la luce”; ed è proprio in questa straordinaria abilità di narrare luci e ombre delle nostre vite evocando pensieri, ricordi ed emozioni che si annida il valore terapeutico di questa forma artistica capace di bloccare il tempo.
In particolare, tale mezzo di espressione è sempre più diffuso ed utilizzato anche in ambito terapeutico, rientrando nel filone dell’arteterapia.
In generale, l’arteterapia si pone l’obiettivo di far emergere, attraverso processi di produzione creativa, i vissuti emotivi dell’individuo aiutandolo a comunicare e a relazionarsi in modo sempre più adeguato con l’ambiente esterno. In tal senso, non vi è totale accordo tra gli arte-terapeuti sul considerare la fotografia come parte integrante di questo approccio, perché essa è il prodotto di un processo legato a stimoli esterni all’individuo, mentre l’arteterapia è maggiormente relata a stimoli appartenenti al suo mondo interiore. Tuttavia, è possibile considerare la fotografia come un ponte fra il mondo reale e quello psichico. A tal proposito, Luigi Ghirri, noto fotografo italiano, sosteneva che dovremmo “guardare alla fotografia come ad un modo di relazionarsi col mondo nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi la sua storia personale, il suo rapporto con l’esistente, è sì molto forte, ma deve orientarsi, attraverso un lavoro sottile, quasi alchemico, all’individuazione di un punto di equilibrio tra la nostra interiorità – il mio interno di fotografo-persona- e ciò che sta all’esterno, che vive fuori di noi…”. In tal senso, l’atto fotografico può essere considerato un valido supporto all’interno di un intervento psicoterapeutico. Esistono, in particolare, due ambiti di applicazione: la fotografia terapeutica e la fototerapia. La prima, libera da relazioni cliniche formali, aiuta l’individuo a prendere coscienza di sé attraverso l’espressione artistica, come nel caso degli interessanti lavori fotografici condotti da Cristina Núñez, la quale si occupa da più di vent’anni di autoritratto terapeutico.
La fototerapia, invece, utilizza una serie di tecniche strutturate all’interno della relazione tra terapeuta e paziente, indipendentemente dal tipo di approccio terapeutico adottato.
Storicamente, un primo tentativo di utilizzare la fotografia in ambito clinico fu introdotto dallo psichiatra inglese Hugh W. Diamond che fotografò le pazienti accolte nel manicomio femminile di Surrey County Lunatic Asylum tra il 1848 e il 1858. Diamond eseguì una serie di ritratti identificando tre possibili funzioni dell’uso della fotografia nei trattamenti psichiatrici: documentare i differenti aspetti della malattia mentale, identificare i cambiamenti dovuti al recupero ed aiutare i pazienti durante il trattamento a ristabilire una corretta immagine di se stessi. Questo progetto fotografico, applicato all’ambito terapeutico, si dimostrò un potente strumento in grado di stimolare i pazienti a riflettere su se stessi migliorandone l’autostima.
Negli anni ’70 del secolo scorso, l’utilizzo della fotografia nella pratica clinica fu ripreso e strutturato da Judy Weiser, psicologa e arte-terapeuta canadese, che introdusse il termine fototerapia. L’autrice sottolinea la capacità della fotografia di superare il codice verbale aiutando il paziente ad accedere alle proprie emozioni, divenendo più consapevole delle proprie risorse e dei propri conflitti interiori.
Nella pratica clinica si comincia semplicemente con l’osservare delle fotografie scelte dal paziente iniziando una conversazione guidata col terapeuta attraverso domande od osservazioni. Durante i colloqui così strutturati la fotografia assume una funzione riparatrice, poiché, attraverso l’analisi delle immagini, il soggetto può accedere a traumi e pensieri da rielaborare in modo più funzionale. In particolare, J. Weiser definisce cinque specifiche tecniche con cui qualunque terapeuta, opportunamente preparato, può condurre una seduta utilizzando la fototerapia:
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Fotografie scattate o raccolte dal paziente: sia su propria iniziativa che su suggerimento del terapeuta. I terapeuti utilizzano le foto così ottenute per entrare in contatto con il mondo del paziente e raccogliere informazioni che possano condurre la discussione anche su aspetti di vita del paziente non direttamente rappresentati nella foto esaminate.
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Fotografie del paziente scattate da altri: permettono al paziente di riflettere sul modo in cui è visto dagli altri, divenendo in tal modo più consapevole degli aspetti di sé che comunica verso l’esterno.
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Autoritratti: scatti del paziente ottenuti durante o dopo le sedute come compiti concordati con il terapeuta. L’autoritratto consente di concentrarsi su se stessi decidendo liberamente cosa far emergere del proprio sé e del proprio mondo in quel dato momento senza alcun giudizio esterno. Con questa tecnica il paziente dialoga con se stesso aprendosi alle proprie emozioni e attivando in modo efficace approfonditi processi di elaborazione.
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Album di famiglia ed altre raccolte foto-biografiche: costituiscono una sintesi delle tre tecniche sopra descritte con la variabile aggiunta dell’ordine temporale o spaziale delle fotografie raccolte. Gli album permettono di descrivere un particolare momento o luogo della vita del paziente, accedendo vividamente alle memoria biografica dell’individuo. In questo modo, possiamo conoscere come si relaziona con gli altri, come è inserito all’interno del nucleo familiare, quali sono le persone ritenute significative, o ricordarne alcune dimenticate. I pazienti, osservando il loro passato, possono comprendere meglio i loro sentimenti attuali, vederne i cambiamenti o le problematiche cristallizzate nel momento presente.
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Foto-proiettive: in questo caso il paziente può proiettare sulla fotografia il proprio modo di vedere la vita, interpretarne il significato, in modo da far emergere e verbalizzare i propri valori, relazioni e soprattutto i propri sentimenti. Inoltre, questa tecnica permette al paziente di divenire maggiormente consapevole dell’unicità del proprio modo di vedere il mondo, aiutando nel contempo il terapeuta a meglio comprenderlo.
Queste tecniche sono interconnesse fra loro e sostengono il percorso terapeutico rendendo più solida e profonda la relazione tra terapeuta e paziente. Inoltre, la fototerapia può essere particolarmente vantaggiosa per i pazienti che trovano difficile utilizzare il linguaggio verbale per raccontare il proprio mondo interiore.
A tale proposito, lo psichiatra Joel Walker sottolinea la “natura catalitica”, ovvero facilitatrice, della fotografia nel percorso verso il cambiamento, poiché in grado sia di creare un ponte con il passato che di generare nuove esperienze che possono essere comunicate al terapeuta. A tale proposito, Gabriele Basilico, altro grande nome della fotografia italiana, credeva che “la fotografia, con il suo potere di fissazione del reale, permette di evocare la storia, di usare la memoria come strumento attivo e sensibile per rimettere in circolo energie trattenute o nascoste”.
Possiamo concludere, quindi, che la fototerapia consente al paziente di vedersi o ri-vedersi con occhi nuovi, imparando a conoscersi e ad accogliere le proprie luci ed ombre in modo non giudicante e nel pieno rispetto di sé.
Bibliografia
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Ghirri L. (2010). Lezioni di Fotografia. A cura di Bizzarri G. e Barbato P. con uno scritto biografico di Celati G.. Edizioni Quodlibet s.r.l. Macerata
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http://www.therapytoday.net Photographs in therapy_Laura Prins March 2013
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Prins L. (2012). Photographs as catalyst: an exploration of client experiences with photographs in therapy. Submitted in partial fulfilment of the MA in transpersonal counselling and psychotherapy Centre for counselling and psychotherapy (CCPE) in association with Northampton University
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Walker J. (1982). The photography as a catalyst in psychotherapy. Can J Psychiatry. Oct;27(6):450-4
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