“Sulla nostra terra sono spuntate piccole stelle
che con la loro luce hanno illuminato il mondo
perché sono riuscite a farci guardare le cose con i loro occhi.
Quelle stelle pensavano in maniera diversa
e le persone vicine non le accettavano e le hanno ostacolate.
Ma loro ne sono uscite vincenti,
al punto che il mondo è rimasto a bocca aperta”.
(dal film “Stelle sulla Terra”)
La mamma di Matilde è una giovane donna di quarant’anni, ha tre figli, un lavoro come infermiera cui ha dovuto rinunciare da poco. La sua bimba, di 4 anni, ha una diagnosi di ritardo dello sviluppo psicomotorio, non parla, fatica a restare concentrata, non riesce a giocare con gli altri bambini e fatica a farlo da sola.
La mamma di Matilde teme il giudizio degli altri e spesso accade che eviti di esporre la sua bambina a situazioni sociali (feste di compleanno, parco giochi, entrata ed uscita dall’asilo con gli altri genitori) per risparmiarsi la fatidica domanda “ma che ha tua figlia? non parla?”.
A casa segue tutte le indicazioni dei terapisti della riabilitazione (logopedista, educatore e neuropsicomotricista), lavora sodo e i risultati stanno cominciando a vedersi.
Non passa giorno in cui non si chieda: “Ma che ne sarà di lei quando non ci sarò più?”
I genitori di Andrea, hanno appena ricevuto la diagnosi del più piccolo dei loro figli, che ha solo tre anni. Si tratta di Autismo. Ancora non riescono a credere che sia vero e si ostinano a portarlo da diversi specialisti che, fino ad ora, non hanno fatto altro che confermare la valutazione.
Andrea non parla, fatica a fare richieste, urla tutto il giorno. Non mangia nulla che non sia latte, trascorre molto tempo davanti alla TV, fatica ad addormentarsi e si risveglia molte volte nel corso della notte. Non guarda negli occhi né mamma, né papà, né i suoi fratelli. E questo rappresenta una grossa difficoltà, sul piano emotivo, per la famiglia. Gioca in modo strano, mette tutti gli oggetti in fila ed è difficile per i suoi genitori introdursi in questo gioco, tanto che si sentono in colpa per non avere fantasia, per non sapere come si faccia a farlo. A casa non sempre riescono a tollerare le urla e i pianti di Andrea di fronte ai NO e spesso la madre cede accontentando il bambino, arrivando anche a degli scontri verbali con il marito che sarebbe più inflessibile e più incline a non reiterare il comportamento problema. Nonostante la difficoltà ad accettare la diagnosi del figlio, i genitori hanno rivolto tutte le attenzioni e tutte le loro energie ad Andrea a discapito dei fratelli.
La mamma di Matilde è come la mamma di Andrea, tutti uniti da uno stesso vissuto, da uno stessa ansia e da una stessa, costante, preoccupazione.
La nascita di un figlio comporta un certo grado di confusione e disorganizzazione, nonché un cambiamento nella vita dei genitori e un certo livello di stress per far fronte alle molteplici esigenze del nuovo nato. Tuttavia, accade spesso che gioia e gratificazione legate alla cura e alla crescita del bambino compensino la fatica e sostengano naturalmente i genitori nei loro sforzi.
L’arrivo di un bambino con disabilità o il momento della scoperta del disturbo è un fenomeno dirompente all’interno del ciclo di vita di una famiglia, tale da produrre una crisi di ampia portata.
I genitori avevano basato sogni e progetti sull’idea di un bambino sano e con uno sviluppo normale. L’impatto di un bambino con disabilità varia sul nucleo famigliare secondo diverse variabili:
- la natura e gravità della disabilità del bambino;
- le caratteristiche personali dei genitori;
- la rete di supporto intrafamiliare (cooperazione tra genitori, ripartizione dei compiti, qualità del rapporto coniugale, partecipazione dei componenti della famiglia allargata);
- il supporto sociale e le risorse che la comunità mette in campo di fronte alla disabilità.
La diagnosi di disabilità di un bambino determina in ogni caso una riorganizzazione radicale dell’andamento familiare; spesso ad esempio, come è accaduto alla madre di Matilde, è necessario che un genitore abbandoni il proprio lavoro per dedicarsi al figlio. Cambiamenti delle attività abituali come questo, uniti ai livelli di gravità della disabilità, causano fatica e stress a tutto il sistema familiare.
Queste situazioni stressanti possono provocare nei genitori difficoltà rispetto al loro ruolo, con possibili conseguenze sulla relazione con il figlio e sulla capacità di risposta costruttiva ai bisogni del minore.
Di fatto, la disabilità di un figlio rappresenta a tutti gli effetti un lutto che, in quanto tale, va elaborato nel tempo. Il lutto racconta la perdita di una presenza di un figlio perfetto e “normale”: si tratta di un momento inevitabile nella vita di una famiglia con un bambino disabile, una fase di transizione necessaria.
Tuttavia, può accadere che il lutto non venga superato, causando reazioni disadattive sia nella vita coniugale sia nelle relazioni con i figli; si tratta di atteggiamenti cui è necessario porre attenzione, tra cui vi sono:
- il rifiuto: che può manifestarsi ad esempio nel comportamento dei genitori di Andrea che corrono da uno specialista all’altro per cercare una soluzione definitiva al problema senza riuscire a fermarsi e a “vedere” il problema stesso;
- l’iperprotezione: che si traduce in comportamenti quali evitare al figlio le situazioni sociali, come nel caso della mamma di Matilde, impedendone la crescita;
- la negazione della disabilità che si può tradurre in un totale diniego della realtà e della necessità di cure o, al contrario, nella tendenza di alcune famiglie a indirizzare tutte le proprie risorse al figlio disabile riducendo drasticamente le attenzioni di cui necessitano gli altri figli, come accade nella famiglia di Andrea.
Comportamenti come quelli elencati sopra possono produrre uno sbilanciamento verso “un’identità malata” in cui la famiglia si focalizza solo sul sintomo del paziente e rischia di perdere la rotta. Questo sbilanciamento ha conseguenze su tutti i membri del nucleo familiare:
- sulle madri che rappresentano spesso il cardine della presa in carico del figlio disabile con conseguenti rinunce di diverse opportunità di sviluppo personale e sentimenti di depressione, di rabbia e bassa autostima;
- sui fratelli che possono presentare problematiche comportamentali (ad esempio, aggressività, impulsività, ipercinesia, ecc.) o precoci spinte alla crescita e all’autonomia con rischio di genitorializzazione. Spesso la causa di questo risiede proprio nella deprivazione di cure parentali, legata alle maggiori richieste del fratello disabile. Non meno rilevanti sono la frustrazione, la colpa e la vergogna cui vanno incontro a causa di stereotipi e pregiudizi;
- sui padri che appaiono più orientati a fronteggiare l’aspetto economico ma di fatto, sono sottoposti a frustrazione, rabbia, depressione e sensi di colpa.
Tali condizioni riescono ad allontanarsi dal panorama familiare quando i genitori riescono ad adattarsi alla situazione e accettare il figlio disabile, in questi casi anche i fratelli risultano positivamente influenzati dal clima generale.
Quindi, è quando si passa dal naturale dolore iniziale con forti sensi di colpa e rabbia ad una fase di trattativa e di accettazione del problema (oltre che di elaborazione di un progetto) che le cose iniziano a tornare in ordine.
Di certo si tratta di una sfida tutt’altro che semplice, sono stati identificati alcuni fattori protettivi che, quando presenti, permettono al genitore di aumentare il suo senso di efficacia e competenza, con conseguenze positive sullo sviluppo sociale, emotivo, cognitivo e fisico di tutta la famiglia.
Ecco alcuni di questi importanti fattori protettivi:
- la presenza di una famiglia coesa, con uno stile comunicativo espressivo-assertivo. Le famiglie coese e armoniose presentano un miglior funzionamento socio-emotivo, con ripercussioni positive anche sull’adattamento psicologico di ogni membro familiare alla situazione di disabilità. Queste caratteristiche influenzano l’adattamento e la capacità di riorganizzazione della famiglia;
- strategie di coping e fronteggiamento dello stress funzionali. E’ importante che le famiglie riescano ad individuare gli aspetti positivi, a esprimere le proprie emozioni bloccando la tendenza a stimolare la negatività, a tener conto anche dei bisogni degli altri membri della famiglia (favorendo la cooperazione, la tolleranza, lo sviluppo personale e delle autonomie di ogni componente);
- la presenza di senso di padronanza di fronte ai problemi emergenti dalla situazione di disabilità;
- la valutazione positiva della situazione. Per fronteggiare lo stress, di fondamentale importanza è proprio la valutazione, ovvero il processo mentale durante il quale si dà un significato soggettivo e personale a un evento: è il valutare l’evento come stressante a renderlo tale;
- possedere uno stile Mindfulness ovvero una modalità di prestare attenzione, momento per momento, al qui ed ora al fine di risolvere (o prevenire) la sofferenza interiore e raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza;
- essere dotati di un locus of control interno, ovvero, di una modalità con la quale si ritiene che gli eventi della propria vita siano prodotti dai propri comportamenti o azioni piuttosto che da cause esterne indipendenti dalla propria volontà;
- avere una buona capacità di resilienza ovvero di fronteggiamento degli eventi stressanti attraverso atteggiamenti quali scegliere di smettere di preoccuparsi sul perché la situazione si sia verificata spostando il proprio focus dalla ricerca del perché alla ricerca del come gestire le richieste prodotte dalla situazione stessa;
- la presenza di un supporto sociale intra ed extrafamiliare ovvero di relazioni ampie e di qualità che risultano fondamentali per allontanare il rischio di effetti negativi a lungo termine sulla salute e sulla capacità genitoriale.
Il percorso verso l’accettazione è lungo e denso di ostacoli difficili da superare; ma non si tratta di un traguardo impossibile, anzi. Si tratta di un traguardo che le famiglie di persone con disabilità hanno il diritto di raggiungere allo scopo di tornare ad una vita quanto più possibile priva di solitudine, frustrazione, sensi di colpa.
Alla luce di questo, diventa fondamentale che i genitori di tutte le Matilde, di tutti gli Andrea siano accompagnati in un percorso di accettazione della disabilità e utilizzando le parole di Espinas (1994):
Non ha senso chiederci ‘perché è toccato a noi?’ se allo stesso tempo non ci chiediamo ‘perché è toccato a te?’ E se ci facciamo le due domande, la risposta deve essere per forza inutile ed è sostituita dalla serena accettazione del caso della vita. Il caso dunque ci ha uniti.
Bibliografia:
Cigoli, V. (1993). Il corpo ferito. Disabilità e relazioni familiari. Proposte terapeutiche per il ritardo mentale, 2 (1), 14-21.
Dall’Aglio, E. (1994). Handicap e famiglia. Handicap e collasso familiare,
Quaderni di Psicoterapia Infantile, 29, Roma: Borla.
Manetti, M., & Fasce, C. (2002). Effetti del supporto sociale sul benessere delle famiglie con bambini disabili. In M. Zanobini, M. Manetti, & M. C., Usai (trad. it., La famiglia di fronte alla disabilità. Stress, risorse e sostegni, (pp 109112) Erckson, Trento, 2002).