“Adolescenza: la più delicata delle transizioni”.
(Victor Hugo)
Mamma: “Luca, muoviti!”
Luca: “Ma sì, non ti scaldare.. Mi tratti sempre come un bambino!”
Mamma: “Se non ci fossi io a dirti di muoverti chissà quante volte avresti saltato allenamento… Vedi, sei ancora un bambino!”
Luca: “Sì… sì… ”.
Luca se ne va senza discutere, progressivamente si chiude, tenta sempre meno di comunicare con la mamma convinto dell’inutilità del confronto perché “tanto ha sempre ragione lei, è inutile non mi ascolta”. La mamma di Luca continua ad arrabbiarsi e a lamentarsi del fatto che suo figlio non diventerà mai autonomo: “non so cosa fare. Non gli interessa nulla, lo devo continuamente sollecitare nel fare le cose. Sono proprio preoccupata per lui e per il suo futuro. Ma dove ho sbagliato?”.
Lentamente e progressivamente Luca e sua mamma si allontanano e la comunicazione tra loro si annulla. Luca non si sente compreso e non percepisce i suoi genitori come una risorsa a cui attingere nei momenti di difficoltà. I genitori di Luca iniziano a sperimentare timore e preoccupazione percependo il muro che si è venuto a creare tra loro e il figlio, si sentono in colpa e incapaci di modificare la situazione.
Ma che cosa si intende per “adolescenza”?
L’adolescenza è quel periodo che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta, indicativamente è compresa tra i 14 e i 18 anni d’età dell’individuo.
I genitori generalmente iniziano a temere quest’età “problematica” e “difficile”, mettendo in discussione le proprie capacità genitoriali. L’adolescenza si caratterizza per un periodo durante il quale i ragazzi sperimentano continue e repentine trasformazioni fisiche, cognitive e relazionali. Il corpo cambia in modo non armonioso, a livello cognitivo si richiedono sempre maggiori prestazioni e abilità e tutto ciò avviene in un contesto di continui cambiamenti relazionali. I ragazzi escono dalla famiglia, che era fino a quel momento unico punto di riferimento e di attaccamento, ed entrano come protagonisti nel mondo esterno dove si confrontano con amici e nascono le prime relazioni sentimentali e amicali profonde. Lo sviluppo relazionale avviene in maniera instabile, le amicizie e gli amori si modificano e ogni cambiamento viene vissuto con un grosso coinvolgimento emotivo. L’adolescenza è pertanto una fase della vita ricca di instabilità fisiche, cognitive e relazionali che porta i ragazzi alla ricerca e alla formazione della propria identità.
“Non so più chi sono.. non mi ritrovo più. Loro non mi capiscono..”;
”Il mio principale problema è di sentirmi un po’ fuori dalla realtà in cui vivo.. e poi ho sempre una sensazione di noia, di disinteresse per tutto ciò che faccio..”;
“Sono piena di amici, vado bene a scuola.. però a volte divento scontrosa. Ci sono giorni in cui mi sento arrabbiata con il mondo intero e me la prendo con i miei genitori.. vorrei cambiare queste reazioni ma non ci riesco” .
(Sara, 16 anni)
Che cosa possono fare i genitori?
I genitori si trovano costretti a modificare il rapporto col proprio figlio e questo cambiamento richiede delle modifiche interne nell’identità genitoriale. Il rapporto, quindi, si trasforma ma continua ad essere un rapporto tra persone di diverse generazioni e quindi non paritetico.
Le relazioni familiari determinano la modalità con cui i ragazzi affronteranno questo periodo di transizione e sarà fondamentale per i genitori:
- sostenere;
- consigliare e guidare sviluppando le capacità riflessive;
- ascoltare;
- avere ruoli flessibili e regole che vanno condivise.
È fondamentale che alla base della relazione tra genitore e figlio ci sia l’accettazione e un clima non giudicante. Mamma e papà dovrebbero ascoltare il figlio senza criticarlo, interromperlo e giudicarlo così da aiutarlo a prendere coscienza dei propri sentimenti, ad avere meno paura delle emozioni negative e del giudizio degli altri. Questo può permettere al ragazzo di divenire più capace di affrontare le difficoltà e più in grado di accettare idee e consigli dati dai genitori.
Manifestare un sincero interesse per ciò che il figlio pensa (“che ne pensi?” – “ti sembra giusto?”) non significa perdere autorità genitoriale ma, anzi, stimolare nel ragazzo il pensiero e accrescere una relazione basata sulla fiducia reciproca; in questo modo il genitore verrà percepito dal ragazzo come una risorsa a cui attingere nei momenti di difficoltà, contrastando l’attuazione di comportamenti problematici e l’insorgere di sofferenza psicologica.
Bibliografia:
“Genitori efficaci. Educare figli responsabili.” di T. Gordon ed. la meridiana (1994)