“Io non mi arrabbio, non sono bravo a esprimere l’ira. E’ uno dei problemi che ho. Interiorizzo, invece; mi allevo un tumore”
(Woody Allen)
“Andrea è in attesa. Tra poco l’anagrafe chiuderà, e la signorina allo sportello ha già annunciato alle persone in attesa di tornare eventualmente il giorno dopo. Andrea è convinto di riuscirci, e pensa “ho solo un signore davanti, ce la farò a non prendere nuovamente ferie per questo fantomatico documento”. Nell’attesa, si abbassa per allacciarsi la scarpa, ma quando si rialza vede una signora minuta in fila ma… è DAVANTI A LUI!!
Gentilmente, chiede alla signora spiegazioni, la quale con fare innocente sottolinea che ora tocca a lei. Andrea pensa che lo stia facendo apposta, pensa che è ingiusto, sente la rabbia salire, ma riesce a spiegarle assertivamente che non può prendersi nuovamente ferie e che ora tocca a lui. Purtroppo la signora non molla. Andrea si conosce, sa che quando si arrabbia molto tende a perdere le staffe e ad esplodere. Così decide di andarsene. Avrà anche lasciato là il suo documento, ma, almeno, è riuscito a togliere sé stesso da possibili guai!”
Immaginiamo che Andrea non ci riesca. Ipotizziamo che esploda, cominciando a inveire contro la signora e a pretendere con la forza che il suo diritto sia ristabilito.
Pensando alle possibili conseguenze possiamo comprendere come mai la rabbia sia una delle emozioni maggiormente inibite dalle società attuali. Tuttavia, è bene sapere che essa non è patologica di per sé, anzi, come vedremo, ha un valore adattivo per l’essere umano. Diviene patologica qualora l’individuo non riesce ad individuare delle modalità funzionali per esprimerla.
Ma che cos’è la rabbia?
E’ uno stato affettivo intenso che può attivarsi per l’intervento di stimoli interni o esterni e per la valutazione cognitiva che l’individuo da a tali stimoli. La determinante fondamentale sembra essere l’attribuzione da parte della persona dell’intenzionalità di ferire/creare un danno da parte dell’altro. Riprendendo l’episodio precedente, sappiamo che lo scopo di Andrea è quello di ritirare il documento per non prendere ulteriori giorni di ferie. La signora minuta si oppone al raggiungimento di tale scopo, e Andrea le attribuisce l’intenzionalità di opporsi (“lo sta facendo apposta”). A quel punto comincia a sentirsi arrabbiato.
Se ad esempio Andrea avesse valutato il comportamento della signora quale esito dell’età (“è anziana, in effetti potrebbe non aver notato la fila, è stata una svista”), probabilmente la sua reazione emotiva sarebbe stata diversa, almeno nella sua intensità.
La rabbia è infatti tanto più intensa tanto più l’offesa è valutata come intenzionale, maliziosa, ingiusta, ingiustificata e immotivata (Beck, 1976).
Diverse ricerche (Averill, 1982) hanno evidenziato come ci si arrabbi raramente nei confronti di oggetti e molto più frequentemente verso le persone, proprio perchè a queste ultime può essere attribuita la consapevolezza e la volontà del danno. Essendo fondamentale il ruolo che assume la valutazione cognitiva della situazione da parte dell’individuo, esistono grandi differenze individuali nel tipo di situazioni che possono far scaturire la rabbia. Le nostre valutazioni dipendono, infatti, dalla nostra storia evolutiva, dalle nostre credenze e dalle nostre opinioni.
Come si manifesta?
Come ogni emozione, l’attivazione della rabbia è accompagnata da determinate modificazioni fisiologiche e comportamentali. Essa è una delle emozioni primarie, chiamata così perché innata e riscontrabile in qualsiasi popolazione sin dalla primissima infanzia.
I cambiamenti fisiologici tipici consistono nell’accelerazione del battito cardiaco, nell’aumento della pressione sanguigna, della tensione muscolare e della sudorazione. Il respiro si fa affannoso e le narici si dilatano. Il corpo si sta cioè preparando a “aggredire” l’oggetto verso cui è diretta la rabbia; la reazione comportamentale espressa tuttavia dipende dalla cultura e dalle regole sociali in cui l’individuo è inserito e dalle abilità possedute dal soggetto di regolazione emozionale (D’Urso e Trentin, 2001). In particolare, il modo in cui una persona esprime la rabbia e il comportamento che assume sono influenzati da quello che ha appreso dall’ambiente circostante, dai modelli educativi che ha ricevuto, dalla percezione che l’individuo ha circa la sua capacità di fronteggiare quella situazione e, anche, dalla valenza dello scopo che è stato intralciato.
Gestire la rabbia in modalità non distruttiva significa aver appreso delle modalità alternative e maggiormente funzionali di esprimere tale emozione, come ad esempio la comunicazione assertiva e la capacità di risolvere costruttivamente i conflitti.
Ma perché conviene arrabbiarsi e quando invece diventa un problema?
Possiamo considerare la rabbia come un segnale di allarme che ci mette a conoscenza della presenza di un ostacolo al raggiungimento dei nostri scopi o della violazione dei nostri diritti. Ha quindi un carattere adattivo e assolve allo scopo principale di ristabilire dei diritti che si ritengono essere stati violati; può portare ad un cambiamento di comportamenti che non si approvano, migliorando di conseguenza la relazione (D’Urso e Trentin, 2001); può contribuire ad evitare che le prepotenze altrui si perpetuino (Daly e Wilson, 1989) e può portare ad un miglioramento della propria autostima in quanto aumenta la sensazione di essere persone efficaci e agentive (Piccione e Nigro, 2010).
E’ vero tuttavia che la rabbia può portare a delle conseguenze negative per l’individuo. Livelli di rabbia particolarmente elevati e cronici comportano ad esempio un rischio per la salute; diversi studi hanno infatti evidenziato la presenza di una associazione tra rabbia, aggressività e malattie coronariche (Spielberger et al., 1988). Nel caso invece la rabbia sia espressa prevalentemente aggredendo, l’individuo determina le condizioni per una rottura dei legami sociali e per possibili ritorsioni (Stuckless e Gorason, 1992).
Dall’altra parte, è altrettanto problematica l’inibizione cronica dell’espressione di questa emozione. Individui che, sulla base della propria storia evolutiva, hanno imparato a considerare l’espressione della rabbia come inaccettabile, tenderanno a reagire passivamente e con impotenza alle situazioni che riterranno per loro ingiuste (Piccione e Nigro, 2010) e faticheranno a elaborare costruttivamente quelle situazioni che attivano in loro la rabbia.
Per questo motivo, è importante sin da piccoli imparare a riconoscerla, acquisendo delle modalità per verbalizzare i pensieri e l’emozioni connessi al vissuto di ingiustizia.
BIBLIOGRAFIA
– Averill, J.R. (1982). Anger and aggression: an essay on emotion. New York: Springer. Verlag.
– Beck, A.T. (1976). Principi di terapia cognitiva. Tr.it. Roma 1984 Astrolabio,.
– Castelfranchi, C. (1998). Che figura. Emozioni e immagine sociale. Bologna: Il Mulino.
– Daly, M., Wilson, M. (1989). Homicide. New York: Aldine De Gruyter.
– D’Urso, V., Trentin, R. (2001). Introduzione alla psicologia delle emozioni. Laterza editore.
– Piccione, G., Nigro, N. (2010). La rabbia. In Apparigliato, M., Lissandron S., La cura delle emozioni in terapia cognitiva. Roma: Alpes Italia.
– Spielberg, C.D., Krasner, S.S., Solomon, E.P., (1988). The experience, expression and control of anger. In Janisse, M.P. Healty Psychology: individual differences and stress. New York: Springer-Verlag.
– Stuckless N., Goranson, R., (1992). The Vengeance Scale: development of a measure of attidues toward revenge. Journal of Social Behavior and Personality; 7:25-42.