Ci sono delle persone che si danno ad autoaccuse e ad autocritiche quali nemmeno i loro peggiori nemici muoverebbero contro di loro.
-Erich Fromm-
Sveva sta passando un periodo difficile. La relazione con Antonio è appena finita, sua madre è ricoverata in ospedale per fare degli accertamenti e al lavoro le pressioni sono tante. Sveva cerca di far fronte a tutti questi eventi: negli orari di visita passa sempre in ospedale a trovare la mamma, lavora fino a tardi per rispondere in maniera efficiente alle richieste del capo e, con il tempo, cerca di mettere una pietra sopra alla storia con Antonio. Quando arriva la sera ed è nel letto, però, inizia a piangere, è molto triste; di notte non dorme bene e si risveglia presto al mattino già con una sensazione di male allo stomaco e di agitazione.
Come valutiamo le emozioni di Sveva?
Leggendo la storia di Sveva credo che, in molti di noi, nasca un desiderio di mettersi in connessione con Sveva, aiutarla di fronte a questa sofferenza. Se proviamo queste sensazioni stiamo sperimentando un’emozione, la compassione, “una particolare sensibilità alla sofferenza di se stessi e degli altri, unita ad un forte desiderio e impegno ad alleviarla” (per un’approfondimento: La Compassione).
Altre persone invece, di fronte al racconto di Sveva, possono provare emozioni come paura e rabbia.
Ma come si valuta Sveva?
Sveva è molto arrabbiata con se stessa. Non riesce proprio a capire perché “mi devo comportare così da debole? Piangere la sera e averci l’agitazione la mattina è proprio da idioti! La devo smettere di fare la bambina piccola, una ragazza di 30 anni non si comporta in questo modo, me la devo far passare, in fretta anche!”.
Sveva è molto critica rispetto ai suoi vissuti emotivi; pur fronteggiando bene tutte le situazioni spiacevoli che sta vivendo, non si legittima di provare, nemmeno in alcuni momenti della giornata, un po’ di tristezza e ansia. Legge queste emozioni come segnali di debolezza, di immaturità, di stupidità e si arrabbia con se stessa, per quanto molti di noi, di fronte agli avvenimenti che l’hanno colpita, reputino normale che provi una certa sofferenza.
Cos’è l’autocritica?
L’autocritica è stata trattata dal comportamentismo come una forma di autopunizione (Rehm, 1977), definita da Beck come una valutazione negativa di sé (Beck et al., 1979). Secondo Gilbert (2012), che ha sviluppato la Compassion Focused Therapy (CFT), l’autocritica è una forma di relazione con se stessi che può avere funzioni specifiche, ad esempio una funzione protettiva. Infatti, un bambino che cresce in un ambiente familiare invalidante e imprevedibile, può imparare ad incolpare se stesso perché più utile e sicuro rispetto ad arrabbiarsi con il genitore (Bowlby, 1980); inoltre se l’ambiente è imprevedibile, criticarsi, colpevolezzarsi, pensare di meritare tale situazione, può aiutare a mantenere un’illusione di controllo degli eventi avversi, soddisfando il bisogno di credere di poter cambiare la situazione, il bisogno di prevedibilità e il bisogno di non perdere la connessione con il genitore.
Sveva infatti ha imparato a essere molto critica nel valutare se stessa già da piccolina, per far fronte al padre particolarmente severo e punitivo e alla madre spesso assente per i continui ricoveri.
Quali funzioni ha l’autocritica?
Criticarsi può avere diverse funzioni: ci può aiutare a valutarci realisticamente, ci può spingere a migliorarci mantenendo i nostri standard di prestazione elevati, ci può tutelare dal non commettere altri sbagli, può essere una forma di riscatto o una modo per abbassare le aspettative prevenendo la sensazione di fallimento e delusione (Driscoll, 1989). Oltre a queste funzioni però l’autocritica è uno dei fattori che può mantenere la sofferenza. A volte può anche influenzare negativamente l’esito di un trattamento (Rector et al., 2000).
Come trattare l’autocritica?
Quando una persona è autocritica può essere utile lavorare per modificare questa visione così negativa di se stessa e per trattare le emozioni negative legate ai propri vissuti, emozioni che spesso rallentano il processo di cambiamento terapeutico. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, e in particolare la Compassion Focus Therapy, possono essere dei validi strumenti per diventare più compassionevoli rispetto alla propria sofferenza.
Bibliografia:
Beck A.T., Rush A.J., Shaw B.F., Emery G.(1979) Cognitive therapy of depression. Guilford Press, New York.
Bowlby J. (1980), Attachment and loss: Loss (vol. 3). New York: Basic Books.
Driscoll R. (1989), Self-condemnation: A comprehensive framework for assessment and treatment. Psychotherapy, Vol. 26, Numero 1.
Gilbert P.P., (2012), La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive. Ed. It. A cura di Petrocchi N., Franco Angeli.
Rector N.A., Michael Bagby, R., Segal Z.V., Russell T. Joffe R.T. , Levitt A. (2000), Self-Criticism and Dependency in Depressed Patients Treated with Cognitive Therapy or Pharmacotherapy. Cognitive Therapy and Research. Vol. 24, Issue 5, pp 571–584.
Rehm L.P., (1977), A self-control model of depression. Behavior Therapy. Vol 8, Issue 5, pp 787–804.