“La creatività consiste nel mantenere nel corso della vita qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare e ricreare il mondo. E’ l’onnipotenza del pensiero propria dell’età infantile”
– Donald W. Winnicott –
“Il Piccolo Principe” è conosciuto come il libro più venduto al mondo, stampato in 150 milioni di copie e tradotto in 300 lingue e dialetti. Da molti è descritto come il libro della propria infanzia, un regalo speciale che, riletto da adulto e in svariati momenti della propria vita, permette al lettore di riflettere su molti temi come l’amicizia, l’amore, la libertà, la solitudine, il cambiamento nel diventare adulti e la vita da bambini e, più in generale, il senso della vita. “Il Piccolo Principe” è un’opera autobiografica che esprime il punto di vista di un adulto tenace, ambizioso, fantasioso che ha volutamente e gelosamente custodito dentro di sé i tratti del bambino che era, la capacità di arrossire che contraddistingue la timidezza e la purezza tipici dell’età dell’infanzia.
Questo libro ci permette importanti riflessioni su complicati aspetti interpersonali intrinseci alla relazione adulto-bambino, rappresentati dal Narratore/Pilota e dal Piccolo Principe, ma anche alle caratteristiche e sfumature intrecciate nel rapporto di amicizia tra i pari, come avviene con la Rosa e la Volpe. Ci porta, inoltre, ad affrontare il tema della sofferenza che deriva dalla perdita di una relazione affettiva, di un’amicizia.
Il Pilota esordisce raccontando la sua prima grande rinuncia, all’età di sei anni. Descrive che, affascinato da un libro sulle foreste primordiali che illustrava, tra le altre cose, come i serpenti boa ingoiassero le loro prede intere per poi digerirle nell’arco di mesi, fece un disegno per rappresentare un boa che aveva inghiottito un elefante. Entusiasta della sua creazione, che chiama Disegno Numero Uno, comincia a mostrarlo con orgoglio agli adulti che lo circondano. Nessun adulto riconosce il suo soggetto, per tutti il disegno rappresenta un cappello. A questo punto l’autore pensa bene di facilitare gli adulti: “bisogna sempre spiegare le cose, ai grandi”. Il primo disegno mostra un boa che mangia un elefante dal di fuori, pensa che se avesse disegnato un boa che mangia un elefante dal di dentro, sarebbe stato più facile per tutti comprendere il suo disegno. Sviluppa, quindi, il Disegno Numero Due.
Anche quando il disegno risulta di più immediata lettura e comprensione, gli adulti non rispondono alle sue esigenze e non gratificano il suo impegno, ma lo esortano a concentrare la sua attenzione ed i suoi sforzi alle materie scolastiche, quelle veramente importanti, non ai serpenti boa. E proprio in questo momento si accorge di come sia difficile per i bambini farsi capire dagli adulti, di come bambini e adulti vivano, pensino ed agiscano in modo diverso: “i grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta”. Questa frustrazione lo porta ad abbandonare il suo sogno d’infanzia di diventare pittore, per imparare a fare altro, pilotare aeroplani. Gli adulti faticano a comprendere i bambini perché, crescendo, hanno abbandonato la parte spensierata, vivace, curiosa, semplice, vitale e pura di sé, per coltivare ed affinare le capacità pratiche, strumentali e strutturate che gli permettono di lavorare, tenere ritmi frenetici e puntare ad obiettivi concreti. La sofferenza vissuta nell’infanzia può accompagnare la persona durante la sua vita, nel suo sviluppo, portandola a non essere capace di gestire le emozioni o ancora a non sviluppare adeguatamente le abilità necessarie per tessere relazioni interpersonali soddisfacenti, funzionali alla propria felicità e realizzazione. Non di rado, in psicoterapia, si parte proprio da questi aspetti, dalla propria storia di vita, dalle relazioni precoci di attaccamento che influenzano il nostro diventare adulti per spiegare la sofferenza psicologica che vive la persona. Spesso in terapia emerge quanto, da adulti, non ci si conceda di divertirsi ed essere spensierati almeno qualche minuto ogni giorno, anzi, spesso queste sensazioni, invece di essere ricercate, vengono allontanate perché, secondo schemi di pensiero e preconcetti, non sarebbero coerenti con l’immagine di sé adulto responsabile e maturo.
“Il Piccolo Principe” è inoltre un libro che potrebbe contenere le “linee guida per costruire un rapporto di amicizia”. L’amicizia, infatti, è rappresentata in una duplice lettura, nella relazione tra il Piccolo Principe e la volpe, attraverso il singolare significato espresso dall’addomesticare la volpe, e tra il Piccolo Principe e la sua rosa, che nasce dal prendersi cura di questo fiore, del suo fiore. Per prima cosa l’amicizia viene descritta come quel legame che rende le persone uniche le une per le altre, non perché non esistono altre persone come loro, ma perché un amico è unico, non esistono altre persone come lui, non esistono altre persone come “il mio amico”. Ogni amicizia è unica, esistono milioni di rapporti di amicizia, ma ognuno è unico per le persone che ne fanno parte. Così la volpe cerca di spiegarlo al Piccolo Principe: “tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomesticherai, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica al mondo.”
La volpe esprime l’importanza del rito e delle certezze alla base dei rapporti di amicizia e dei rapporti in generale. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Con il passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, inizierò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.” Riconoscendo queste caratteristiche la volpe richiede al Piccolo Principe dei tratti ineludibili di un attaccamento sicuro, modello che si rifletterà poi in tutte le relazioni che il bambino svilupperà da adulto. Bowlby definì l’attaccamento come “[…] quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un altro individuo differenziato o preferito, ritenuto in genere più forte e più esperto, in grado di affrontare il mondo in modo adeguato. Questo comportamento diventa molto evidente ogni volta che la persona è spaventata, affaticata o malata e si attenua quando si ricevono conforto e cure”. “[…] la caratteristica più importante dell’essere genitori: fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato” (Bowlby, 1989).
La volpe insegna al Piccolo Principe che l’amicizia è fatta anche di sofferenza, di dolore che si sperimenta nel momento in cui si perde parte di essa, in quanto, come descritto precedentemente è fatta di riti (contatto e presenza) ma anche di cose invisibili (quello che sento per l’altra persona e cosa rappresenta per me) che non possono essere modificate da nessuna mancanza o perdita.
Come detto in precedenza, l’autore inizia il racconto descrivendo la sua delusione nel toccare con mano l’incapacità di comunicare e di essere compreso dagli adulti. Allo stesso modo, il Piccolo Principe, sperimenta le stesse emozioni quando, incuriosito dai personaggi che popolano altri pianeti diversi dal suo e da quello in cui ha incontrato il Pilota, cerca di conoscerli e soprattutto di capirne i comportamenti ed i pensieri. L’incontro con il Re, ad esempio, insegna al Piccolo Principe che il potere, in realtà, non serve a nessuno, è fine a sé stesso ed è un’illusione che l’uomo si crea per colmare i suoi bisogni di potere e di controllo. Anche per l’Uomo d’Affari il controllo ed il possesso sono due esigenze primarie. Per sentirsi di avere un valore, di possedere qualcosa o qualcuno, si è inventato di possedere le stelle e di poterlo fare, come pioniere nel suo pensiero e nella sua intenzione, contandole… un po’ come succede nella società odierna, dove la corsa al potere e all’apparenza ci fa perdere di vista l’utilità e la finalità di questo “potere”. In modo simile si comporta il Controllore, addetto allo smistamento delle persone, che si lamenta e non è soddisfatto del luogo in cui si trova, fatica e si impegna in modo insensato perdendo il suo obiettivo e colmando questo disorientamento con il lamentarsi senza far niente per soddisfare i sui bisogni. Spesso le persone vivono male, trascurando di ragionare in modo strategico sul come potrebbero modificare la loro condizione per migliorare la qualità della loro vita, per raggiungere l’autorealizzazione. Il Mercante, indaffarato a risparmiare tempo, tanto da assumere pillole per calmare la sete e non bere, non sa come potrà passare questo tempo, cosa potrebbe fare per sentire, percepire che “non sta più perdendo tempo”. Il Piccolo Principe prova profonda malinconia dopo aver incontrato l’Ubriacone, percepisce la sofferenza di una persona tanto quanto la sua incapacità di farvi fronte. Questo personaggio gli racconta di bere per dimenticare la vergogna che prova quando beve. Niente di più illogico ma, allo stesso tempo, niente di più conosciuto e frequente nei modelli psicopatologici che cercano di descrivere il funzionamento di questi specifici disturbi. L’uomo Vanitoso rappresenta il tentativo di colmare il proprio vuoto interiore ricercando la sterile ed inutile ostentazione dell’ammirazione da parte degli altri. L’Uomo che spegne e accende il lampione, nonostante sia l’unico personaggio che si dedica ad un’attività utile per gli altri e non per se stesso, vorrebbe solo dormire, non riconosce i suoi bisogni e le sue esigenze, non è consapevole di cosa potrebbe farlo stare bene se non il solo dormire. Il Geografo si accontenta di mille nozioni senza fare nessuna emozionante, seppur rischiosa, esperienza concreta, vera e diretta. Se davvero i bambini vedono gli adulti in questo modo, se davvero vivono questa profonda disillusione, non possiamo non curarci di quanto accade. L’autore manda un messaggio di forte speranza in quanto dice che non ha mai smesso di “testare” gli adulti, anche quando lui stesso era adulto, ha sempre conservato i suoi disegni per chiedere loro cosa vedessero, nella speranza di sentirsi rispondere “un boa che aveva inghiottito un elefante” e non “un cappello”. Non ha mai smesso di fare questo perché in ognuno di noi c’è un bambino, un Piccolo Principe che aspetta di essere risvegliato, coccolato, ammirato, vissuto, riscoperto dall’adulto che è diventato.
Bibliografia:
John Bowlby (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore.
Antoine de Saint-Exupéry (2009). Il Piccolo Principe. Tascabile Bompiani, Milano.
David Robert Ord (2015). Tutto quello che so sull’amore l’ho imparato da “Il Piccolo Principe”. Sperling & Kupfer.