Non è perché le cose sono difficili che non osiamo farle; è perché non osiamo farle che le cose sono difficili
– L. A. Seneca –
Erica è stata assunta da poco in una nuova azienda dopo anni di lavoro presso un’altra realtà in cui era cresciuta professionalmente. La struttura attuale dal punto di vista organizzativo è molto diversa; nella fase iniziale le viene affidato lo stesso ruolo già ricoperto precedentemente ma via via viene ridefinito articolandolo maggiormente con l’idea di farla crescere a livello di competenze. Rispetto a questa nuova situazione, Erica comincia progressivamente a provare ansia, pensando che siano attività per lei troppo difficili; non riuscendo a gestire questo malessere, decide di richiedere al proprio responsabile di ritornare a ricoprire il ruolo originale le cui attività sono per lei ormai collaudate. Ottenuto il ruolo di partenza e riprendendo le attività di routine, dopo qualche tempo Erica si accorge di aver perso un’importante occasione di crescita professionale a causa della sua paura a mettersi in gioco, per cui inizia a sentire rabbia verso se stessa per aver sprecato questa opportunità…
L’esempio appena riportato si riferisce ad un atteggiamento che viene adottato nel momento in cui si pensa che sia più agevole intraprendere esclusivamente attività ritenute facili, semplici o piacevoli, evitando tutto quello che comporti difficoltà, impegno a lungo termine o responsabilità.
In realtà, come sottolinea Ellis (1962), questo tipo di pensiero, costituente la settima idea irrazionale da lui individuata, si rivela essere controproducente rispetto al raggiungimento dei propri obiettivi e, quindi, al proprio benessere psicologico per diversi motivi.
L’idea che “sia più facile evitare certe difficoltà e responsabilità piuttosto che affrontarle” può avere un vantaggio nell’immediato, dandoci sollievo nel momento in cui scegliamo di evitare la situazione che ci crea ansia, ma finisce con avere ripercussioni a lungo termine, in quanto finiamo con il ripensare continuamente al fatto di non aver tentato, a quali soddisfazioni avremmo potuto ottenere solo provando. Per cui la sensazione di piacevolezza che si può provare nel rinunciare a fare qualcosa percepito come dispendioso, faticoso, può portare a provare poi sensazioni di malessere in termini di rabbia verso sé, ansia o tristezza successivamente, avendo valutato il costo di questo comportamento per il proprio progetto personale.
Inoltre, spesso nell’evitare una scelta o una cosa ritenuta difficile ma potenzialmente soddisfacente per noi, ci soffermiamo molto nel riflettere, ripensare, prima di decidere di non impegnarci e non affrontarla; tale rimuginare finisce con il creare maggiore disagio rispetto a quello che si vorrebbe evitare.
La stessa fiducia in noi stessi può svilupparsi nel momento in cui affrontiamo le cose, ne facciamo esperienza, non evitandole. La nostra percezione di riuscire ad affrontare un’attività in futuro, traendone gratificazione, si collega al ricordo di essere stati in grado di gestire la cosa in passato, ottenendo buoni risultati. Quindi, assumere un atteggiamento di rinuncia rispetto all’affrontare situazioni ritenute difficili, impegnative, se può farci sentire meglio in un primo momento, rischia di renderci meno sicuri a lungo termine, non mettendoci mai alla prova. Essere orientati verso un obiettivo e attivare tutte le risorse in tal senso ci permette di maturare, di sviluppare la nostra creatività e di arricchire il nostro percorso di crescita.
Come possiamo ridefinire questo pensiero irrazionale che ci porta ad evitare di affrontare ciò che ci sembra difficile, impegnativo?
La consapevolezza che il rinunciare in partenza ad affrontare una situazione perché ritenuta troppo ardua, sebbene possa rasserenarci nell’immediato, ci porta poi ad essere insoddisfatti a lungo termine, è già un primo passo importante per poter iniziare ad agire assumendo modi di pensare ed atteggiamenti più costruttivi per il proprio benessere.
Rispetto alle attività considerate come difficili o poco piacevoli, è importante innanzitutto identificare quelle necessarie, prioritarie da cui difficilmente si può prescindere perché ad esempio legate agli impegni quotidiani e iniziare a svolgerle, avendo ben mirato l’obiettivo concreto di concluderle, senza disperdersi, per poi passare oltre. Focalizzando l’attenzione non sulla difficoltà ma sul fatto che è comunque necessario portarla a termine ed è conveniente e utile ottimizzare le proprie risorse in modo poi da riservarle ad attività più piacevoli, è più facile iniziare ad adottare un diverso approccio rispetto all’affrontare cose non gradite anche in riferimento ad altri contesti, divenendo un nuovo atteggiamento più funzionale. La mia iniziale convinzione di “non essere in grado di” gradualmente, grazie ai feedback positivi che via via ottengo con il mio procedere (anziché evitare), si ridefinisce in termini “sono in grado di”, facendomi così acquisire maggiore sicurezza e senso di padronanza.
In genere, è utile iniziare ad adottare uno stile di comportamento proattivo, assumendo una posizione in cui l’attività ostica da svolgere venga valutata come una “sfida affrontabile” non come un “problema insormontabile”. Diventa strategico definire un piano d’azione in cui l’obiettivo da raggiungere venga scomposto in sotto-obiettivi, intermedi, al raggiungimento dei quali, eventualmente, concedersi delle ricompense che ci possano gratificare e motivare a proseguire al fine di conseguire l’obiettivo finale.
Il rifiutare di affrontare certe situazioni, perché considerate difficili o non piacevoli, quando radicato come strategia di gestione dell’ansia, diventa una forma di automatismo che finisce con il confermare l’idea di partenza rispetto a sé nei termini di non essere in grado di farvi fronte, rinforzando l’autoverbalizzazione di inadeguatezza. E’ importante individuare tali pensieri di rinuncia e riformularli in chiave più funzionale, circoscrivendo la generalizzazione e aprendo alla possibilità di provare: “evitare certe difficoltà e responsabilità mi dà sollievo nell’immediato ma affrontarle mi permette di vivere meglio, di avere maggiori soddisfazioni nel lungo termine”.
Infine, è importante iniziare ad accettare la condizione stessa della nostra esistenza come caratterizzata sia da cose piacevoli o per noi facili nell’immediato sia da cose spiacevoli o difficili in un primo momento, richiedenti, pertanto, uno certo sforzo, impegno per affrontarle. Il riposare e rimandare la risoluzione di problemi possono essere intervalli funzionali a riflettere e recuperare energie all’interno di una concezione attiva della propria esistenza mentre risultano disfunzionali se diventano un modus operandi, espandendosi oltremisura. Diventa, quindi, importante rendersi consapevoli che “vivere” comporta il “fare esperienze”, “muoversi”, “ricercare attivamente”, “creare nuove opportunità”, aspetti che ci permettono di metterci in gioco, di conoscere e sviluppare le nostre risorse, permettendoci di raggiungere molteplici soddisfazioni.
Bibliografia
Ellis, A.(1962). “Reason and emotion in psychotherapy. Lyle Stuart, New York. Tr.it. “Ragione ed emozione in psicoterapia”. Astrolabio, Roma 1989.