Nei disturbi d’ansia rientrano:

 

ATTACCO DI PANICO

L’attacco di panico si caratterizza per la presenza di un’ansia intensa, improvvisa, accompagnata dalla convinzione che stia accadendo qualcosa di terribile o addirittura fatale (“sto per morire!”, “sto avendo un infarto!”, “sto impazzendo!”); questo episodio può durare pochi secondi o diversi minuti. Questa drammatica esperienza lascia la persona confusa, spossata e spaventata. Spesso si fa ricorso al pronto soccorso nel tentativo di capire cosa stia accadendo e ricevere cure adeguate; tuttavia, il più delle volte il problema sembra avere cause cliniche.
L’attacco di panico ha una durata media di circa dieci minuti e si verifica nel momento in cui la persona interpreta in modo catastrofico le manifestazioni fisiche o mentali dell’ansia, generata come risposta ad un fattore interno (es. il battito del cuore accelerato) o esterno (es. essere soli in casa) vissuto come minaccioso. Tuttavia, il legame fra ciò che ci fa sentire in ansia e le sensazioni fisiche ad essa associate spesso non appare chiaro; di conseguenza, l’attacco di panico viene vissuto come qualcosa di inspiegabile ed imprevedibile e l’ansia come un’emozione inaffrontabile ed ingestibile, che fa sentire la persona che ne soffre debole e vulnerabile.
Le sensazioni prodotte dall’ansia possono essere di tipo cardiovascolare, gastrointestinale, vestibolare, sensoriale; la persona con attacco di panico può interpretare, in modo erroneo e catastrofico, tali sintomi come evidenti segnali di impazzimento, di perdita di controllo o di morte imminente.
La persona che soffre del disturbo può sperimentare uno o più dei seguenti sintomi: palpitazioni/tachicardia, sudorazione, dispnea, sensazione di soffocamento o di mancanza d’aria, nausea o nodo allo stomaco, tensione muscolare, formicolii alle mani o ai piedi, visione annebbiata, senso di costrizione o dolore al torace. Può sentirsi svenire, provare vertigini o giramenti di testa, tremori, vampate di caldo o brividi di freddo, sensazione di avere la bocca secca, debolezza delle gambe, l’impressione di non riuscire a pensare chiaramente o di non riuscire a parlare.
Chi soffre del disturbo può sentirsi distaccato da se stesso (depersonalizzazione) o può avere l’impressione che le cose intorno non siano reali (derealizzazione), teme di morire, di perdere il controllo o di comportarsi in modo imbarazzante.

DISTURBO DI PANICO

Gli episodi di panico possono rimanere isolati o divenire ricorrenti nel tempo, per cui si parla di disturbo di panico (DAP), tanto da portare l’individuo a preoccuparsi intensamente del loro eventuale ripresentarsi, costringendolo a pesanti cambiamenti nel proprio stile di vita con lo scopo di evitare che un altro attacco di panico si possa ripresentare (evitamenti e fattori protettivi). Tali comportamenti portano la persona ad essere certa che qualcosa di catastrofico stia per accadere e rinforzano, aggravandoli, i sintomi fisici e mentali già presenti considerati pericolosi, rendendo così più probabile il verificarsi di un nuovo attacco di panico.
Gli evitamenti includono tutti i comportamenti che mettono la persona che soffre del disturbo nelle condizioni di potere evitare le situazioni che potrebbero scatenare il panico (ad es. non rimanere in luoghi chiusi, evitare di prendere mezzi di trasporto, non recarsi presso luoghi non familiari, non affaticarsi); i comportamenti protettivi includono le modalità con cui la persona tenta di prevenire la minaccia (ad es. cercare di sedersi o appoggiarsi ad un sostegno per evitare di collassare a terra, portarsi dietro farmaci, muoversi in compagnia di persone di fiducia o nelle vicinanze di strutture mediche, la fuga da luoghi non appena si avvertono le sensazioni considerate prodromi del panico, l’attenzione selettiva ed il continuo monitoraggio sulle sensazioni temute).
Il disturbo di panico può compromettere notevolmente lo stile di vita di chi ne soffre, modificando lo svolgimento delle normali attività sociali, lavorative e le relazioni affettive.
In particolare, la persona con disturbo di panico può iniziare a limitare i propri spostamenti o interessi nel tentativo di contenere il rischio di trovarsi in situazioni che potrebbero favorire l’attacco di panico, riducendo così la propria autonomia; conseguentemente, si trova a sperimentare un drastico peggioramento della propria qualità di vita associato all’abbassamento del senso di autoefficacia e di autostima, che nel tempo possono favorire lo sviluppo di una depressione secondaria.

AGORAFOBIA

Il disturbo di panico può presentarsi in associazione ad un’ulteriore condizione psicopatologica: l’agorafobia. La persona con agorafobia sperimenta una forte paura o ansia in risposta a specifiche situazioni come l’utilizzo dei trasporti pubblici, il trovarsi in spazi aperti o chiusi, stare in coda o tra la folla o infine trovarsi in casa da soli. L’agorafobico tende ad evitare queste situazioni o ad affrontarle con l’aiuto di una persona di riferimento, questo perché egli teme di non riuscire a fuggire o a chiedere soccorso nell’eventualità che si sviluppino sintomi ansiosi, panicosi o altri sintomi invalidanti o imbarazzanti.

IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

Esistono diversi studi che indicano la terapia cognitivo-comportamentale come particolarmente efficace per il disturbo di panico applicata individualmente o in gruppo.
La terapia cognitivo-comportamentale è finalizzata sia a conoscere e sospendere i comportamenti protettivi o gli evitamenti che contribuiscono a mantenere il disturbo, sia a modificare le credenze catastrofiche che alimentano l’ansia e il panico. Si possono individuare diverse fasi per il trattamento del disturbo di panico: inizialmente, si procederà con una fase di valutazione per favorire l’inquadramento del problema del paziente. Successivamente, lo scopo della terapia sarà quello di individuare e concordare con il paziente un obiettivo comune su cui lavorare a livello generale (ad es. gestire gli stati ansiosi in modo efficace) o particolare, con obiettivi più specifici e individuali (ad es. riuscire a dormire da solo in casa o prendere i mezzi pubblici) stabilendo alcuni compiti che il paziente svolgerà a casa; inoltre, si favorirà la conoscenza delle caratteristiche delle emozioni di ansia e panico e la condivisione del modello cognitivo del funzionamento di tali emozioni. In seguito, si lavorerà in sinergia con il paziente al fine di individuare e mettere in discussione i pensieri catastrofici alla base della sua sofferenza e di apprendere come gestire, attraverso specifiche tecniche, gli stati d’ansia in modo funzionale; si affronteranno poi le situazioni temute in modo graduale. Infine, si dedicherà una parte della terapia a lavorare sulla prevenzione delle eventuali ricadute.
In alcuni casi potrebbe essere utile nel trattamento dei sintomi ansiosi, associare alla psicoterapia una terapia farmacologica.

 

IL DISTURBO DANSIA GENERALIZZATO

Il disturbo d’ansia generalizzato è piuttosto comune; secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne soffre circa il 5% della popolazione. Si caratterizza per uno stato d’ansia persistente ed una eccessiva preoccupazione per l’accadere di eventi di natura diversa. L’ansia generalizzata si manifesta anche con sintomi somatici quali sudorazione, vampate, batticuore, nausea, diarrea, dolori muscolo-scheletrici (alla nuca e al collo), tic tremori e affaticabilità. Chi soffre di questo disturbo spesso è irritabile, irascibile, incapace di rilassarsi e di mantenere la concentrazione. Soffre frequentemente di insonnia e tende a rimuginare sulla possibilità di eventi spiacevoli incombenti per sè e gli altri, vive come se si aspettasse costantemente una catastrofe. Le preoccupazioni sono eccessive e riguardano in principal modo situazioni quotidiane, quali il lavoro, lo stato di salute dei familiari o il proprio, il riuscire nelle faccende domestiche o il giungere puntuali agli appuntamenti. Gli eventi fonte di preoccupazione possono cambiare velocemente.
Dalla preoccupazione e dall’ansia che ne deriva si attivano le rimuginazioni, ovvero, delle catene di pensieri negativi che incrementano e mantengono lo stato d’ansia iniziale. Esse sono in realtà dei tentativi di risoluzione dei problemi che spesso risultano fallimentari. Le persone che soffrono di questo disturbo attuano una serie di comportamenti per cercare di ridurre le preoccupazioni, ad esempio: si tengono molto occupati al fine di distrarsi da pensieri che creano ansia (distrazione e controllo del pensiero), evitano alcune attività per il timore di non ottenere risultati soddisfacenti (evitamenti), chiedono costantemente rassicurazioni agli altri (richiesta di rassicurazioni). Questi comportamenti che momentaneamente sembrano ridurre lo stato ansioso in realtà mantengono e rinforzano il disturbo.

IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

La terapia cognitivo-comportamentale risulta essere per il disturbo d’ansia generalizzato uno dei trattamenti di maggiore efficacia. Il terapeuta in una prima fase ricostruisce la storia del disturbo raccogliendo gli episodi iniziali in cui si sono manifestati i sintomi e la situazione attuale vissuta dalla persona; in seguito, condivide con il paziente il modello di funzionamento del disturbo. Dopo aver elaborato un contratto terapeutico con obiettivi condivisi, viene effettuata una fase di psico-educazione in cui sono fornite informazioni specifiche rispetto all’ansia e sono discussi i pensieri disfunzionali che sorreggono il disturbo d’ansia generalizzato. Al paziente vengono insegnate tecniche per la gestione dei sintomi quali, ad esempio, tecniche di rilassamento e l’esposizione graduale alle situazioni temute attraverso cui impara ad affrontare le situazioni e i pensieri che sono fonte di ansia in modo più funzionale. La terapia si conclude con una fase di prevenzione alle ricadute attraverso l’accettazione da parte del paziente della possibilità che si ripresentino i sintomi e dell’eventuale ricorso agli strumenti acquisiti nel percorso terapeutico. Il trattamento può essere individuale o di gruppo.
Al trattamento psicoterapeutico può essere affiancato un trattamento farmacologico mediante antidepressivi di nuova generazione e benzodiazepine. I farmaci risultano efficaci nel breve periodo, tuttavia vi è il rischio che ad una sospensione del trattamento farmacologico la persona possa incorrere in una ricaduta, in quanto le cause che hanno portato alla sofferenza della persona possono rimanere inalterate. La funzione del farmaco è quella di abbassare i livelli d’ansia creando i presupposti per una psicoterapia; per questo motivo, il trattamento combinato viene considerato di maggior efficacia.

 

FOBIA SOCIALE

La fobia sociale è un disturbo d’ansia caratterizzato dall’intensa paura di essere criticati dagli altri durante l’esecuzione di un compito o di un’azione e di essere così valutati e giudicati negativamente. L’obiettivo primario di queste persone è quello di soddisfare il loro forte desiderio di dare una buona impressione di sé agli altri ma, l’incertezza rispetto al raggiungimento di questo scopo, li porta ad attuare comportamenti di evitamento sistematico di questi contesti per non fare una brutta figura. Nelle situazioni sociali è comune che le persone provino ansia, ma per parlare di fobia sociale, questa paura deve interferire in modo significativo con le attività quotidiane.
Il timore centrale è perciò quello di essere giudicati deboli, impacciati, stupidi, sciocchi o inadeguati e che, pertanto, venga compromesso lo scopo della buona immagine, quello di apparire agli occhi degli altri delle persone capaci. La vergogna è il cardine su cui ruota la fobia sociale: il timore di essere mal giudicato per i propri sintomi ansiosi (sudare, tremare, balbettare, avere la voce tremante, ecc.) aumenta la sensazione di disagio, i comportamenti protettivi e sostiene il disturbo ansioso. Il disagio si aggrava nel momento in cui la persona, oltre a preoccuparsi di essere soggetta a giudizio da parte degli altri, si preoccupa anche del suo visibile imbarazzo, del fatto che le persone che le stanno attorno si accorgano che si sta vergognando. Le prestazioni che scatenano ansia sociale sono di varia natura e riguardano: interazioni e discorsi formali (ad esempio esibirsi su un palco, parlare in pubblico, leggere in chiesa), informali (partecipare ad una festa, incontrare persone sconosciute), interazioni assertive (esprimere disapprovazione, comunicare la propria opinione, parlare con persone di autorità) e/o visibilità del comportamento (provare un abito, mangiare mentre altre persone guardano, firmare un documento davanti ad altri). La minaccia è ben definita in quanto vengono temute delle singole e precise situazioni sociali. Inoltre, a differenza di altri disturbi d’ansia, l’oggetto temuto potrebbe effettivamente realizzarsi in quanto è possibile non piacere a qualcuno oppure non venir mai giudicato in maniera positiva per qualcosa che si fa o si dice. Le persone che soffrono di fobia sociale sono convinte di non riuscire ad avere un comportamento adeguato nelle situazioni sociali che temono, hanno paura di fare brutta figura, spesso evitano situazioni, comportamenti, luoghi, contesti, persone che possono elicitare le situazioni temute. I comportamenti protettivi messi in atto riducono il timore e l’ansia ma, a lungo termine, peggiorano i sintomi. Queste persone hanno un buon funzionamento nella vita quotidiana che però fallisce nel momento in cui si trovano nel contesto relazionale che temono. In queste situazioni le persone fanno inferenze sui pensieri altrui percependosi, in maniera egocentrica, al centro dell’attenzione e rileggono le intenzioni degli altri in termini negativi. La fobia sociale, se non trattata, tende a rimanere stabile e cronica e spesso può dare luogo ad altri disturbi come il disturbo depressivo. Nelle forme di fobia sociale generalizzata la persona teme la maggior parte delle situazioni sociali.

IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

La terapia cognitivo-comportamentale risulta essere scientificamente uno dei trattamenti più efficaci per la fobia sociale. Il terapeuta condivide il modello del disturbo col paziente con cui successivamente identifica e discute le idee disfunzionali che sostengono la fobia sociale. La persona, grazie al percorso terapeutico, apprende tecniche specifiche per la gestione dell’ansia e si espone gradualmente agli stimoli e ai pensieri temuti, così da affrontare le situazioni sociali in modo progressivamente più soddisfacente. Nessuna esposizione viene imposta, ma sempre concordata e preventivamente preparata assieme al terapeuta. Importante sarà, nel lavoro terapeutico, concedersi il diritto di potersi vergognare ed accettare la minaccia del giudizio negativo in quanto più l’individuo cerca di evitarla più questa in realtà sarà presente. La psicoterapia cognitivo-comportamentale del disturbo d’ansia sociale si concentra, quindi, sul ridurre il timore del giudizio e il bisogno di riconoscimento, il controllare il rimuginio anticipatorio sulle proprie prestazioni, il ridurre il timore di mostrare ansia e i comportamenti di controllo dell’ansia. Parallelamente, la terapia aiuterà la persona a riprendere in mano rapporti sociali, vita lavorativa e interessi.
Chi soffre di fobia sociale può anche beneficiare di una terapia farmacologica, a base di antidepressivi di nuova generazione e benzodiazepine. Tuttavia, la sola terapia farmacologica, non affiancata ad una psicoterapia, comporta alti rischi di ricaduta del disturbo.