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I DISTURBI DI PERSONALITA’
La personalità è data dall’insieme di caratteristiche e tratti stabili con cui la persona percepisce, rappresenta e pensa se stessa e il mondo e interagisce con gli altri. Per adattarsi bene all’ambiente e fronteggiare i problemi, le persone devono utilizzare strategie flessibili, adattabili al contesto e soluzioni differenti. Si instaura un disturbo di personalità (DP) quando gli stili di pensiero, le modalità di agire e di affrontare le situazioni diventano eccessivamente rigide e si presentano in tutte le situazioni di vita, anche quando le condizioni richiederebbero comportamenti o soluzioni diverse e quando tale rigidità interferisce con il funzionamento relazionale e lavorativo. La difficoltà nella gestione dei rapporti con gli altri e delle situazioni problematiche e lo scarso adattamento all’ambiente provocano grande sofferenza e disagio. I disturbi di personalità possono essere considerati una distorsione o esagerazione dei tratti normali. Oltre a questo approccio dimensionale esiste un approccio di tipo categoriale, proposto dal DSM-IV, il manuale statistico per la classificazione dei disturbi psichiatrici, con l’uso di criteri clinici specifici per la diagnosi dei disturbi di personalità.
Il DSM5 propone, invece, un modello ibrido, che integra la misura del funzionamento della personalità con la descrizione dei disturbi. La nuova classificazione, dimensionale e tratto specifica, tiene conto del funzionamento generale, della patologia e dei tratti di personalità. Il livello di funzionamento della personalità viene valutato considerando la compromissione del Sé (che tiene conto di identità e autodirezionalità) e delle relazioni interpersonali (che comprende empatia e intimità).
Più specificatamente:
– l’identità è la capacità di percepirsi come un soggetto unico, dotato di precisi confini, con una stabilità nell’autostima, un’accuratezza auto-valutativa e una buona capacità di riconoscimento e gestione delle esperienze emotive
– l’autodirezionalità è l’abilità di perseguire obiettivi, a breve termine ed esistenziali, l’utilizzo di standard di comportamenti costruttivi e pro-sociali e la capacità di riflettere in modo produttivo su se stessi
– l’empatia è l’abilità di comprendere le esperienze e le motivazioni altrui, la capacità di comprendere il punto di vista degli altri, tollerando prospettive diverse dalle proprie
– l’intimità è intesa come profondità e durata delle relazioni positive con gli altri, desiderio e capacità di intimità e rispetto reciproco.
Queste dimensioni sono valutate attraverso un continuum di gravità fatto di 5 livelli, da assenza di deficit a compromissione estrema (self and interpersonal functioning continuum).
Nei disturbi di personalità rientrano:
- disturbo antisociale di personalità
- disturbo borderline di personalità
- disturbo dipendente di personalità
- disturbo evitante di personalità
- disturbo istrionico di personalità
- disturbo narcisistico di personalità
- disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
- disturbo paranoide di personalità
- disturbo schizoide di personalità
- disturbo schizotipico di personalità.
DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITA’
La persona con disturbo antisociale di personalità tende a violare i diritti degli altri, ha difficoltà a conformarsi alla legge e alle norme sociali e tende a mettere in atto comportamenti illegali (es. rubare) e manipolativi (es. mentire). Tali comportamenti possono essere perseguiti per piacere personale o per ottenere dei benefici (es. denaro, sesso).
L’individuo con una personalità antisociale generalmente non prova rimorso nei confronti delle conseguenze delle proprie azioni e tende ad attribuire ad altri le cause dei propri comportamenti, identificandosi, talvolta, come vittima. A questo possono unirsi l’impulsività e l’aggressività. L’aggressività si manifesta con vere e proprie aggressioni fisiche, mentre l’impulsività con scelte dettate dal momento e senza considerare le conseguenze.
Le emozioni più frequentemente sperimentate dalle persone con tale disturbo sono la rabbia, l’umiliazione, il disprezzo, il distacco, la noia, l’invidia, l’euforia (quest’ultima in situazioni di potere e dominanza); quelle meno provate sono la gratitudine, l’empatia ed il senso di colpa.
Una difficoltà delle persone con disturbo antisociale di personalità è rappresentata dal non riuscire ad assumere la prospettiva dell’altro e non essere in grado di raffigurarsi il dolore che possono provocare con i loro comportamenti, dimostrandosi, spesso, indifferenti, cinici e distaccati. Per questo le relazioni interpersonali (anche quelle intime) tendono ad essere superficiali e di breve durata, spesso caratterizzate da antagonismo e competitività.
Queste persone dimostrano fiducia in se stessi (non fondata su una valutazione positiva di sé ma sulla diffidenza verso il mondo), si credono speciali e dunque pensano di meritare agevolazioni, tuttavia non sono interessati alla propria sicurezza (mettono in atto comportamenti pericolosi, come l’abuso di sostanze) né a quella degli altri (ad esempio trascurano i propri figli). La mancanza di senso di colpa li porta spesso a giustificare i propri comportamenti minimizzando i danni arrecati oppure fornendo spiegazioni superficiali o, ancora, dando la colpa agli altri (“se lo meritano”) e non chiedendo mai scusa per il dolore causato. Questo è indice di una bassa tolleranza alla frustrazione, perché non riescono a posticipare il piacere e mettono in atto comportamenti impulsivi per raggiungerlo. Utilizzano molto la pseudologia fantastica (raccontare fatti reali insieme a storie inventate, non distinguendo la verità dalle menzogne) con lo scopo di manipolare l’altro.
Le persone con questo disturbo soffrono perché spesso non hanno relazioni stabili, cambiano improvvisamente lavoro e hanno difficoltà di inserimento sociale a causa dei loro atteggiamenti aggressivi, immorali e illegali. Per questo spesso non hanno una vera e propria indipendenza economica o una rete sociale sufficientemente adeguata e hanno un’alta probabilità di diventare “senzatetto”, oppure di trascorrere anni della loro vita in carcere o morire in conseguenza ad azioni violente (omicidi, incidenti, ecc.).
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Le persone con disturbo antisociale di personalità spesso accedono ai trattamenti psichiatrici/psicoterapeutici a seguito di problemi legali e con lo scopo di aderire a progetti riabilitativi che riducano la pena prevista. La psicoterapia, la farmacoterapia e i ricoveri nelle strutture ospedaliere si rivelano difficoltosi per le caratteristiche stesse del disturbo (ad esempio, possono nuocere ad altri pazienti, aggredendoli o sabotare il trattamento).
Ad oggi, il trattamento più efficace è il ricovero in strutture specializzate nella cura di tale disturbo, dove possono seguire diverse terapie (farmacoterapia e psicoterapia). Il trattamento cognitivo-comportamentale aiuta questi pazienti a entrare in contatto con le proprie distorsioni cognitive utilizzate per giustificare, a loro stessi e agli altri, i propri comportamenti illegali o immorali.
DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA
Le persone con disturbo borderline di personalità manifestano cambiamenti improvvisi di umore, instabilità dei comportamenti e delle relazioni con gli altri e impulsività. I cambiamenti d’umore improvvisi (instabilità emotiva) sono ciò che contraddistingue gli individui affetti da questo disturbo. Le persone, infatti, possono oscillare improvvisamente tra diverse emozioni, ad esempio, tra la rabbia intensa e il senso di colpa. Solitamente, tendono ad esperire contemporaneamente emozioni contrastanti (spesso in risposta a eventi relazionali come il rifiuto o la critica), che creano difficoltà di comprensione da parte degli altri. Altre caratteristiche sono la vulnerabilità emotiva (la risposta emotiva è più immediata, marcata e duratura) e la disregolazione emotiva (difficoltà a gestire le proprie emozioni). Per gestire le proprie emozioni negative, gli individui con questo disturbo mettono spesso in atto comportamenti impulsivi, quali ad esempio abuso di sostanze, abbuffate, promiscuità sessuale, ecc. Possono mettere in atto comportamenti autolesivi (es. procurarsi tagli sul corpo con lamette o bruciature con mozziconi di sigarette) fino ad arrivare al suicidio o a comportamenti parasuicidari.
Le relazioni con gli altri sono spesso intense ma instabili e caotiche; possono, infatti, oscillare tra l’idealizzazione dell’altro e la sua svalutazione: all’inizio percepiscono l’altro come buono, perfetto, amorevole, però è sufficiente un errore o una critica per etichettarlo come disonesto, minaccioso e cattivo. Le difficoltà relazionali e di gestione della propria vita emotiva favoriscono in queste persone una percezione di se stesse come sbagliate e fragili, che le può condurre a pretendere cambiamenti eccessivi difficili da raggiungere. Il fallimento di questo scopo di cambiamento può portarle a rinforzare l’idea di essere sbagliate. Quando esperisce la fragilità, solitamente, la persona con questo disturbo percepisce l’altro come giudicante e il mondo come minaccioso, senza avere la possibilità di difendersi.
In situazioni di stress frequenti possono essere presenti crisi dissociative e ideazione paranoide (per esempio pensano che gli altri abbiano intenzioni ostili nei loro confronti oppure perdono transitoriamente il senso di sé) accompagnate da sensazioni di paura, solitudine e abbandono.
Altre volte invece, le persone che soffrono di questo disturbo possono sperimentare uno stato di vuoto senza scopi, durante il quale possono agire impulsivamente.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Il DBP necessita di trattamenti integrati quali, ad esempio, il trattamento denominato metacognitivo-interpersonale (TMI) e la dialectical behavioral therapy (DBT) di M. Linehan.
Il primo è un trattamento individuale con l’obiettivo di ridurre la sofferenza e migliorare la qualità di vita del paziente, creando una buona alleanza terapeutica, senza farsi coinvolgere in dinamiche relazionali disfunzionali (cicli interpersonali) tipici di questo disturbo e accordando insieme gli obiettivi da raggiungere durante la terapia (ad esempio il miglioramento delle abilità metacognitive e la gestione degli stati che causano sofferenza).
Il secondo trattamento, unitamente a quello cognitivo-comportamentale, si utilizza soprattutto nelle situazioni più a rischio, in cui vi sono atti suicidari o autolesionistici e prevede sia la terapia individuale sia la terapia di gruppo (skill training e mindfulness), associata o meno alla farmacoterapia.
DISTURBO DIPENDENTE DI PERSONALITA’
Il disturbo dipendente di personalità si caratterizza per la necessità di instaurare e mantenere rapporti interpersonali tali da dare alla persona la sensazione di non essere mai sola. Chi soffre di questo disturbo pensa di non essere in grado di vivere e di affrontare gli eventi della vita autonomamente, poiché si sente sbagliato, inadeguato, incompetente; tale valutazione di sé porta la persona ad essere insicura e ad avere una bassa valutazione del proprio valore personale e delle proprie capacità. Generalmente, la persona vive sensazioni di smarrimento, di vuoto e di inutilità nel momento in cui avverte l’assenza di qualcuno ritenuto significativo. Inoltre, sente il bisogno di essere costantemente presente e fondamentale nella vita della persona a sé vicina. Sono spesso messi in atto, di conseguenza, atteggiamenti richiedenti rassicurazioni e conferme. La persona percepisce qualsiasi gesto di allontanamento, di distacco come indice di un possibile e doloroso abbandono. Tale stato può portare allo sviluppo di emozioni quali paura, terrore e ansia intensa, che inducono la persona ad avere dei comportamenti volti a evitare l’abbandono.
Le persone che soffrono di questo disturbo sono particolarmente abili nel comprendere la volontà e i piaceri dell’altro, assecondando i bisogni e i piaceri altrui e compromettendo spesso i propri; ciò può comportare il sentirsi poco considerati e ingiustamente trattati, poiché gli altri generalmente non forniscono le stesse attenzioni che si è abituati a dare loro. Le persone con questo disturbo hanno comunque dei desideri propri, ma difficilmente riescono a riconoscerli e, quindi, a perseguirli; in altri casi, possono essere consapevoli di avere uno scopo diverso da quello di un’altra persona o una propria preferenza, ma trovano difficoltà nel mettere in atto dei comportamenti volti a raggiungere ciò che realmente desiderano nel momento in cui non si sentono sostenuti dall’approvazione del partner o delle figure di riferimento. Qualora le attese dell’altro non corrispondano alle proprie, la persona avverte l’obbligo di allinearsi ai desideri dell’altro, ma questo conduce spesso a provare sentimenti di costrizione e di rabbia. Il fatto, tuttavia, di provare rabbia e contrarietà verso l’altro è mal tollerato, in quanto porta a provare la sensazione che la relazione possa oscillare, eventualità vissuta come insostenibile, poiché considerata come allarme per un possibile abbandono. Questo conduce a voler ristabilire velocemente la vicinanza, cercando di assimilare e assecondare i desideri del proprio partner o delle persone vicine.
Quando la persona con disturbo dipendente di personalità si sente sola o quando non ha una relazione stabile e significativa, tende a vivere uno stato di vuoto, flessione del tono dell’umore e profonda tristezza.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Il tipo di trattamento cognitivo-comportamentale indicato per il DDP fa riferimento all’approccio metacognitivo-interpersonale (TMI), il cui presupposto consiste nello stabilire, fin dalle prime sedute, una buona alleanza terapeutica, evitando il coinvolgimento in dinamiche relazionali patologiche (cicli interpersonali disfunzionali). Le persone che soffrono di questo disturbo tendono ad accondiscendere agli scopi e a quanto indicato dal terapeuta senza in realtà percepirli come completamente propri, poiché temono di andare contro la figura del terapeuta. Per questo, è importante accordarsi rispetto agli obiettivi del percorso terapeutico: il riconoscimento autonomo dei propri desideri, il favorire l’autonomia senza che ciò comporti la rottura delle relazioni significative, l’aumento del senso di efficacia personale, la gestione degli stati problematici (in particolare la sensazione di vuoto, la paura dell’abbandono e la sensazione d’impotenza e inadeguatezza nella gestione autonoma degli eventi di vita).
DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ
Chi soffre di disturbo evitante di personalità si sente inadeguato nelle relazioni sociali, teme di essere giudicato negativamente e di essere escluso dagli altri, sperimentando un senso di esclusione, diversità ed estraneità. Ai fini di evitare la possibilità di essere giudicato negativamente ed apparire inadeguato, tende spesso al ritiro sociale. Non entrando frequentemente in relazione con altri individui, tuttavia, non ha la possibilità di sperimentare le proprie abilità sociali, che risultano di conseguenza povere. Il comportamento relazionale, quindi, può risultare impacciato e inadeguato, confermando nella persona con questo disturbo la percezione di essere diverso.
Lo stile di vita ritirato, caratterizzato da pochi stimoli sociali, ha spesso ricadute sullo stato emotivo, favorendo il malessere psicologico e la produzione di idee autosvalutative.
Per paura di perdere gli affetti, gli individui con questo disturbo tendono a manifestare un atteggiamento sottomesso, che può tuttavia condurli a sperimentare senso di costrizione e conseguente rabbia nelle relazioni interpersonali.
Queste persone tendenzialmente faticano ad identificare i propri pensieri ed emozioni e a metterli in relazione tra di loro comprendendone il legame; tali difficoltà possono portare a sperimentare paura nelle situazioni sociali.
Le persone che soffrono di questo disturbo, quindi, sentendosi escluse ed estranee nella società in cui vivono, mettono in atto evitamenti relazionali per proteggersi dal rifiuto e sperimentano un profondo vuoto, stato che temono e che prevedono si verificherà. Lo stato di solitudine attiva in loro emozioni di tristezza e pensieri autosvalutativi e di bassa autostima, alimentando il circolo vizioso della sofferenza e aumentando così le sensazioni di estraneità e diversità.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
La terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento del disturbo evitante di personalità si focalizza in primis sul potenziamento delle funzioni metacognitive con l’obiettivo di portare la persona a riconoscere e descrivere i propri pensieri e le proprie emozioni e successivamente a metterli in relazione tra di loro. Scopo di tale intervento è aiutare le persone a comprendere perché stanno male, perché si sentono escluse dal mondo e hanno difficoltà a relazionarsi con gli altri. Una volta compreso il modo disfunzionale di relazionarsi, potranno, assieme al loro psicoterapeuta, acquisire modalità più funzionali di entrare in relazione con gli altri così da non evitare le situazioni sociali per paura di ricevere un giudizio negativo. Altro aspetto fondamentale del trattamento è imparare a comprendere pensieri, emozioni e comportamenti altrui secondo una modalità non egocentrica, non leggendo, quindi, i comportamenti dell’altro focalizzandosi su di sé, ma considerando i diversi punti di vista possibili.
Attraverso una corretta comprensione degli aspetti che stanno alla base delle relazioni sociali e dei legami tra pensieri ed emozioni e attraverso l’acquisizione di abilità meno egocentriche della lettura della mente altrui, le persone che soffrono di disturbo evitante di personalità potranno percepirsi non esclusi ed “alieni” dai diversi contesti relazionali di vita quotidiana, sentendosi di conseguenza più adeguati.
DISTURBO ISTRIONICO DI PERSONALITA’
Le persone che soffrono di disturbo istrionico di personalità manifestano un’emotività intensa attraverso atteggiamenti che possono sembrare teatrali, messi in atto per attirare l’attenzione o l’approvazione degli altri. Queste modalità, a volte accompagnate anche da comportamenti che possono essere seduttivi, in realtà nascono dal profondo bisogno di sentirsi apprezzati, bisogno soddisfatto quando sentono di essere al centro dell’attenzione delle altre persone. Per questo motivo, nelle relazioni interpersonali, le persone con questo disturbo cercano di affascinare l’altro, grazie al carattere solitamente estroverso, all’ostentazione di sicurezza e di seduttività e ad una modalità drammatica nell’espressione delle proprie emozioni. Tali comportamenti, tuttavia, possono avere delle ripercussioni negative, in quanto possono suscitare negli altri la sensazione di avere di fronte una persona poco autentica. Di fatto, la difficoltà degli individui con DIP risiede proprio nel non riuscire a raggiungere una vera e propria intimità emotiva, in quanto la costante necessità di approvazione può condurre alla dipendenza affettiva e all’intolleranza, al minimo rifiuto o critica.
Una caratteristica tipica di chi soffre di questo disturbo è un grado elevato di suggestionabilità, con una tendenza ad essere influenzato da opinioni e sentimenti altrui e da entusiasmi momentanei; è presente spesso un’alta intolleranza alla frustrazione e sentimenti di noia, con conseguente ricerca di immediata gratificazione mediante nuove stimolazioni. Le persone con questo disturbo, inoltre, curano molto il proprio aspetto fisico, perché percepito come strumento per attirare l’attenzione su di sé e ricercano costantemente complimenti per esso.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Tra i trattamenti ad orientamento cognitivo-comportamentale, uno dei più utilizzati nella cura di tali disturbi è la terapia cognitiva per i disturbi di personalità di Beck e Freemann, la quale si focalizza sulle credenze disfunzionali, con lo scopo di metterle in discussione.
Il terapeuta aiuta la persona con disturbo istrionico di personalità ad individuare le emozioni, i pensieri e gli eventi che generano sofferenza. Questo lavoro aiuta a gestire in maniera adeguata la propria impulsività e a valutare le conseguenze delle proprie azioni. L’individuazione e la messa in discussione di credenze quali “devo essere amato da tutti per considerarmi degno di valore”, aiuterebbe a gestire meglio la ricerca costante dell’attenzione e delle cure altrui e il senso di incapacità a farcela da soli. Tramite l’utilizzo di tecniche immaginative, training assertivi ecc., la persona può aumentare il proprio senso di efficacia. Inoltre, grazie all’aiuto del terapeuta può gradualmente riuscire ad individuare e soddisfare le proprie necessità senza che lo facciano altri al proprio posto. Ovviamente un trattamento integrato è da preferirsi, affiancando, ad esempio, la terapia cognitivo-comportamentale ad un training per le abilità sociali (modulazione emozioni e comportamenti impulsivi, sviluppo empatia) o a un trattamento schema-focused therapy.
DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’
Il disturbo narcisistico di personalità si caratterizza per la tendenza a difendersi con comportamenti arroganti, disprezzanti e superbi, quando la persona si sente ferita nel proprio valore. Gli altri spesso sono disprezzati e ritenuti causa dei propri problemi; chi soffre di questo disturbo si considera speciale e ricerca approvazioni e complimenti superiori riguardo al proprio valore, mostrando stupore e rimuginando quando ciò non avviene. Spesso le persone con questo disturbo reagiscono alle critiche con rabbia e vergogna. Tendono a frequentare e sentirsi capiti solo da persone speciali o di elevata condizione sociale e intellettuale. L’eccessiva richiesta di ammirazione, la pretesa che tutto sia dovuto, con trattamenti di favore, la soddisfazione immediata dei loro bisogni e la pretesa che gli altri si sottomettano sono le caratteristiche più evidenti del disturbo. Nel caso in cui queste aspettative non vengano soddisfatte, la persona con questo disturbo tende a reagire con rabbia e disprezzo, mettendo in atto a volte comportamenti manipolatori ai fini di soddisfare i propri scopi. Nelle relazioni, l’altro viene idealizzato finchè rafforza il bisogno di ammirazione e poi svalutato quando non lo fa. La mancanza di empatia porta la persona ad essere incapace di riconoscere i sentimenti e i bisogni dell’altro e di identificarsi in esso; nel momento in cui il vissuto dell’altro viene percepito, tale consapevolezza viene sentita come disfunzionale, in quanto indice di debolezza e scarso valore personale. Le persone che soffrono di questo disturbo possono apparire fredde e distaccate, soprattutto se percepiscono l’altro come bisognoso d’aiuto; sono spesso assorte in fantasie di potere e successo, provando frequentemente invidia verso proprietà o successi altrui.
Le persone con un questo disturbo solitamente ricercano l’aiuto di un terapeuta quando esperiscono stati depressivi invalidanti scatenati da rotture nelle relazioni (problematiche), da mancati riconoscimenti a livello professionale, da perdite o insuccessi che intaccano il senso di grandiosità generando fallimento, vergogna e umiliazione. La discrepanza tra le aspettative (Sè ideale) e la realtà (Sè reale) può provocare rimuginazione, disperazione e isolamento sociale, il cui scopo è il non esporsi ai giudizi negativi altrui. Tuttavia, spesso, la convinzione di queste persone che “chi sta male è debole e chi è debole è giudicato negativamente e sottomesso” e la difficoltà di identificare e riconoscere le proprie emozioni, bisogni e desideri, impedisce loro di chiedere aiuto, sperimentando un senso di vuoto devitalizzato.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Il trattamento d’elezione del disturbo narcisistico di personalità è quello metacognitivo-interpersonale (TMI), affiancato da un trattamento farmacologico e da una terapia di gruppo.
L’obiettivo principale è quello di ridurre la sofferenza delle persone con questo disturbo e promuovere una qualità di vita migliore attraverso la costruzione di una buona alleanza terapeutica, basata sulla fiducia reciproca e sulla condivisione degli obiettivi della terapia. Gli obiettivi sono l’identificazione di emozioni, bisogni, desideri della persona, il riconoscimento delle relazioni esistenti tra i propri stati interni, la modificazione delle credenze disfunzionali su se stessi e gli altri, l’identificazione degli stati mentali che fanno soffrire (es. grandiosità, vuoto, depressione, invidia, rabbia, vergogna, ecc.). Inoltre, tramite la relazione, si aiuterà la persona a ricostruire e superare le proprie dinamiche relazionali disfunzionali (es. competizione, idealizzazione-svalutazione) modificando le aspettative su di sè e su gli altri, ad incrementare l’empatia e a regolare la propria autostima con modalità più funzionali.
DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO DI PERSONALITA’
Il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità si caratterizza per un’eccessiva preoccupazione e attenzione per l’ordine e le regole, difficoltà nel portare a termine i propri compiti, perfezionismo, fatica a delegare e a collaborare, rigidità rispetto a temi in ambito etico e morale, difficoltà a esprimere le proprie emozioni, bisogno di controllo nel contesto lavorativo e nelle relazioni interpersonali.
Chi soffre di questo disturbo tende, quindi, a mostrarsi profondamente rigido, rimanendo ancorato alle proprie convinzioni e mostrando difficoltà nel considerare il punto di vista altrui e nell’accettare idee diverse dalle proprie. Le persone che presentano un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità possono assumere comportamenti quali, ad esempio: ferma applicazione delle regole e dei principi in cui credono; adesione alle convenzioni sociali; scrupolosità e coscienziosità in materia di moralità e di etica; rigida organizzazione della vita quotidiana; dedizione eccessiva al lavoro fino a escludere i momenti dedicati al rilassamento, svago e amicizie; perfezionismo che compromette la capacità di prendere decisioni e di portare a termine le attività previste; elaborazione di schemi, liste, gerarchie e programmi relativi allo svolgimento di un compito; accumulo di oggetti ormai consumati o di nessun valore; avarizia e mancanza di generosità, derivante dall’idea che il denaro sia da accumulare in vista di possibili catastrofi future; comportamenti interpersonali estremamente formali, educati e corretti; comportamento critico, controllante e, a volte, punitivo nei confronti di coloro con cui entrano in relazione; comportamento compiacente e forzatamente ossequioso nei confronti delle persone che considerano autorevoli; riluttanza a delegare lo svolgimento dei compiti e scarsa collaborazione nei gruppi di lavoro; in ambiente di lavoro, se in posizione di responsabilità, assoluta pretesa che i subordinati aderiscano ai ruoli e ai metodi che esse stabiliscono.
Dal punto di vista emotivo, chi soffre di questo disturbo mostra difficoltà a esprimere i propri stati d’animo e a manifestare emozioni di calore e di premura verso gli altri. Generalmente, le emozioni maggiormente sperimentate sono ansia, in relazione all’eventualità che accadano catastrofi future, paura rispetto all’eventualità di essere disapprovati e giudicati negativamente, rabbia nei confronti degli altri, derivante dalla difficoltà a esprimere le proprie emozioni e i propri pensieri. Di conseguenza, a livello affettivo, possono emergere difficoltà nell’instaurare e sviluppare relazioni intime e calde.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Il ricorso alla terapia cognitivo-comportamentale per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo di personalità ha come obiettivo finale quello di alleviare le sofferenze della persona, permettendole di raggiungere i cambiamenti che le consentano di vivere una vita più piacevole e soddisfacente. In particolare, gli obiettivi principali del percorso consistono nel favorire la consapevolezza e l’accettazione dei propri stati d’animo e delle proprie emozioni; nel ridurre gli stati negativi di abbattimento, irritabilità, ansia; nel diminuire la tendenza a evitare situazioni che sono al di fuori della routine quotidiana; nell’apprendere strategie efficaci per la gestione delle situazioni problematiche; nel favorire la flessibilità su questioni di moralità ed etica; nell’abbassare standard di prestazione eccessivamente elevati; nell’aumentare la capacità di rilassarsi in attività di svago; nello sviluppare l’abilità di instaurare relazioni più rilassate, informali ed intime; nell’abbandonare condotte compiacenti o, all’opposto, dominanti.
Nel corso del trattamento, la relazione terapeutica è utilizzata come contesto nel quale è possibile essere se stessi e sperimentare un’accettazione incondizionata da parte del terapeuta che sollecita e favorisce l’accettazione di sé; si individuano, discutono e modificano le convinzioni di base circa se stessi e il mondo; si individuano e interrompono i circoli viziosi che si instaurano tra emozioni, pensieri e comportamenti; si fa ricorso a tecniche di rilassamento; si procede con un lavoro di esposizione graduale della persona alle situazioni temute.
DISTURBO PARANOIDE DI PERSONALITA’
Le persone che soffrono di disturbo paranoide di personalità tendono ad essere sospettose e a fidarsi poco degli altri. Solitamente sono inclini a interpretare le intenzioni, le parole e i comportamenti altrui come malevoli, umilianti e minacciosi. Possono aspettarsi di essere sfruttate o danneggiate in qualche modo dagli altri e dubitare, spesso senza motivo, della lealtà o dell’affidabilità di amici o colleghi. A volte possono essere patologicamente gelosi, dubitando della fedeltà del coniuge o dei partner sessuali.
Vivono una sensazione costante di minaccia e pericolo, che comporta tensione muscolare e difficoltà nel rilassarsi. Ai fini di diminuire l’ansia, possono ricercare uno stile di vita solitario.
La reazione emotiva e comportamentale delle persone con disturbo paranoide di personalità può, quindi, oscillare tra il sentirsi ingiustamente umiliati e sfruttati dalle persone, il provare profonda rabbia e risentimento e il vivere un forte senso di esclusione ed emarginazione, associate a profonda tristezza, ansia e solitudine.
Tra le difficoltà maggiori di chi soffre di questo disturbo, vi è la mancanza di abilità nel riconoscere e differenziare il proprio punto di vista da quello dell’altro. L’affettività è spesso priva di senso dell’umorismo e seria; inoltre, sono generalmente presenti difficoltà a manifestare calore e ad accettare le persone considerate deboli, ammalate o imperfette. Per questo motivo, nelle situazioni sociali, nonostante siano persone pratiche ed efficienti, possono suscitare reazioni di paura e di ostilità negli altri, con conseguenti problematiche a livello relazionale.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
La farmacoterapia può essere utile per gestire l’agitazione e l’ansia. Oltre allo psicofarmaco, la psicoterapia individuale, di tipo cognitivo-comportamentale e a lungo termine, è adeguata ed efficace con le persone che soffrono di questo disturbo. Dopo aver investito sulla costruzione di una buona relazione terapeutica con la persona, la terapia ha una connotazione meramente comportamentale, dimostrandosi utile soprattutto per le dimensioni del disturbo riguardanti la sospettosità e l’aumento delle abilità sociali. Inoltre, è possibile utilizzare il modello di trattamento specifico di tipo metacognitivo-interpersonale (TMI). Il paziente e il terapeuta, insieme, impareranno a riconoscere e a gestire comportamenti, pensieri, emozioni e strategie disfunzionali, caratteristiche del disturbo stesso e fonti di sofferenza. Le difficoltà della persona con disturbo paranoide di personalità a distinguere tra i suoi e altrui stati mentali, a differenziare la realtà dal suo stato emotivo e cognitivo interiore e a mettersi nei panni degli altri, saranno gradualmente riconosciute e spiegate, aumentando la consapevolezza della persona che sarà educata e allenata a riconoscere tali dimensioni disfunzionali, sostenuta nell’acquisizione di abilità sociali che miglioreranno il suo funzionamento sociale e la qualità delle relazioni interpersonali.
DISTURBO SCHIZOIDE DI PERSONALITA’
Il disturbo schizoide di personalità viene diagnosticato alle persone che presentano un quadro di ritiro sociale che persiste per tutta la vita. Aspetti notevoli sono rappresentati dal disagio nelle interazioni sociali, dall’introversione e dall’affettività blanda e limitata. Queste persone sono spesso considerate dagli altri come individui isolati e solitari, freddi e indifferenti al giudizio altrui. Hanno scarsa capacità di esprimere sentimenti verso gli altri e a provare piacere nelle attività di interazione sociale. Tale disturbo, quindi, è caratterizzato dalla difficoltà nello stabilire relazioni sociali e, soprattutto, dall’assenza del bisogno e desiderio di farlo.
Le persone affette da questo disturbo tendono a scegliere lavori solitari che comportano uno scarso o nessun contatto con gli altri; molti preferiscono un lavoro notturno a quello diurno, in modo da non dover trattare con molta gente. Davanti alle altre persone, questi pazienti, si mostrano a disagio e mal tollerano il contatto visivo. L’interlocutore può facilmente percepire il profondo stato di ansia che vivono. L’affettività di tali soggetti può essere coartata, distaccata o inappropriata. In realtà, tutto questo deriva dallo stato di paura che questi soggetti si trovano a vivere nelle situazioni sociali. La persona trova difficile comportarsi in modo disinvolto e spesso i suoi tentativi di interazione possono sembrare infantili o non adeguati. Tendenzialmente usa un linguaggio diretto allo scopo ma cerca di evitare la conversazione, quindi cerca di dare risposte molto brevi alle domande che gli vengono poste. Le persone con questo disturbo possono condurre la loro vita con un bisogno o un desiderio sorprendentemente scarso di legami emozionali con gli altri. Spesso vengono considerati distaccati; tuttavia, sono in grado di concepire, sviluppare ed offrire al mondo idee davvero originali e creative. Sono in grado di investire un’enorme energia affettiva in interessi non umani, come la matematica e l’astronomia. Nella maggior parte dei casi sono dei grandi amanti degli animali. In genere, sono totalmente coinvolti in tutto ciò che non richiede un coinvolgimento personale, in modo rigido e metodico: manie dietiste e salutiste, movimenti filosofici, progetti di miglioramento sociale. Nonostante il profondo e ricercato isolamento sociale e la rigida introversione ed introspezione, non perdono la loro capacità di riconoscere la realtà.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
La terapia di questo disturbo è molto difficile. Con queste persone la farmacoterapia si mostra poco efficace anche se, in alcuni casi, può essere utile l’assunzione di bassi dosaggi di antipsicotici, antidepressivi e psicostimolanti. Generalmente tali farmaci vengono usati per gestire reazioni emotive eccessive, come ad esempio le crisi di ansia che queste persone possono vivere. Con persone che soffrono di disturbo schizoide di personalità il trattamento di prima scelta è rappresentato dalla psicoterapia individuale, anche se la terapia di gruppo e il coinvolgimento dei famigliari all’interno del trattamento risultano molto efficaci. In tutti i casi, all’inizio, l’obiettivo principale resta quello di portare la persona alla consapevolezza del problema che causa il suo malessere, cosa non facile, in generale, con chi soffre di un disturbo di personalità. Il trattamento cognitivo-comportamentale, inteso come terapia individuale a medio-lungo termine, si dimostra efficace ed utile con queste persone. Lo scopo essenziale è il miglioramento della qualità di vita del paziente considerando principalmente le sue esigenze, difficoltà e bisogni. La terapia mira ad individuare pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali, si propone l’obiettivo di far apprendere alla persona le abilità sociali di base, di acquisire la capacità di identificare e gestire le proprie ed altrui emozioni, sempre rispettando il suo bisogno di solitudine e senza forzarla all’interno delle esperienze interpersonali.
Nella terapia di gruppo possono rimanere a lungo in silenzio, ma progressivamente si lasciano coinvolgere. Queste persone vanno protette dagli attacchi dei membri più aggressivi o criticanti verso la loro inclinazione al silenzio. Con il tempo, gli altri membri possono diventare importanti per i soggetti schizoidi, tanto da rappresentare il solo contatto sociale in un’esistenza altrimenti di isolamento.
DISTURBO SCHIZOTIPICO DI PERSONALITA’
Le persone con disturbo schizotipico di personalità sono viste come estremamente eccentriche o strane. Le caratteristiche principali di questo disturbo sono rappresentate dall’isolamento sociale e da un comportamento insolito e bizzarro, in associazione a tendenze di pensiero sul versante della sospettosità, di interpretazione di collegamenti tra eventi in realtà a se stanti, di pensiero magico. Questi soggetti presentano, in alcuni casi, esperienze percettive insolite che influenzano anche il comportamento. Possono credere nella superstizione, nella chiaroveggenza o telepatia, sino anche a credere di avere un particolare sesto senso o, addirittura, dei poteri magici. Possono pensare che gli altri abbiano accesso ai loro pensieri e diventare molto sospettosi. Tutti questi elementi giustificano il profondo isolamento che tali pazienti spesso si trovano a vivere. Nelle relazioni sociali chi soffre di questo disturbo, da una parte si mostra inadeguato e con scarse se non assenti abilità sociali; dall’altra vive costantemente un senso di diversità e disagio, innescando un circolo vizioso dove le reticenze ad instaurare delle relazioni sociali, a causa di una profonda ansia e sofferenza, vengono rafforzate e mantenute dai reali esiti negativi nell’entrare in contatto con le altre persone. L’ansia sociale è spesso associata a paure di tipo paranoico; il senso di diversità, invece, porta la persona a rimuginare su se stessa, a vivere e ad isolarsi in un mondo interiore fatto di relazioni immaginarie, fantasie e paure.
Chi soffre di disturbo schizotipico di personalità può non riconoscere i propri sentimenti; tuttavia, risulta estremamente sensibile nell’individuare i sentimenti degli altri, soprattutto quelli negativi, come la rabbia. La persona può essere superstiziosa o pretendere di essere chiaroveggente. Il proprio mondo interiore può essere pieno di vivide relazioni immaginarie e di paure e fantasie infantili. Può credere di avere particolari poteri di pensiero ed intuizione.
Il linguaggio può essere strano o peculiare e avere un significato solo per la persona. Può risultare vago, troppo elaborato, stereotipato, oscuro e con molte metafore.
IL TRATTAMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Relativamente al trattamento delle persone che soffrono di disturbo schizotipico di personalità, il primo importante scoglio da superare è il carattere egosintonico del disturbo. In altre parole, chi ne è affetto, non riconosce di avere un problema e la conseguente necessità di chiedere aiuto. I sintomi emotivi, come ansia e depressione, rappresentano le prime cause della sofferenza soggettiva da gestire attraverso il trattamento farmacologico.
L’associare una farmacoterapia ad una psicoterapia, integrandole e coordinandole, si dimostra il miglior modo per gestire, trattare e aiutare queste persone a raggiungere una buona qualità di vita, interiore e interpersonale.
Le caratteristiche disadattive di personalità, tipiche per definizione di questo disturbo, vanno trattate attraverso una psicoterapia a medio o lungo termine.
La terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento di questo disturbo verte principalmente sull’apprendimento delle abilità sociali di base, delle capacità di riconoscere le proprie emozioni/pensieri e di aumentarne la consapevolezza per migliorare la qualità di vita.